Un Santo miracoloso e la “Regina” delle strade nel glorioso destino di una città

 

stilizzazione di Renato Ciaramella   



Lo stemma comunale



 

 

 

San Nicola la Strada, amena cittadina dell' entroterra campano, situata a brevissima distanza da Caserta (Km. 1,5), prende il nome da S. Nicola, vescovo di Mira nell'Asia Minore (le cui reliquie nell' XI sec. furono trasportate a Bari, da dove il suo culto si diffuse in tutta la penisola) e dal toponimo “la Strada”, riferito con tutta probabilità all'antica Via Appia, realizzata, nel 312 a.C., per volere del Console e Censore Appio Claudio detto il Cieco, sulla quale, ancora oggi, sorge il centro abitato.
L' intera denominazione si assesta nel corso del tempo e, a partire dal 1300, i vari documenti mostrano la titolatura "Sancti Nicolai ad Stradam".
Le origini della fondazione sono ignote e le prime notizie storiche di valida certezza risalgono a Livio (Età augustea) e a Strabone, storico-geografo greco del I sec. d.C., che riferiscono dell' antica Calatia.
L' incertezza dell'identificazione dell' antica Calatia con il sito moderno, nella zona lungo la Via Appia che unisce San Nicola la Strada con Maddaloni, è dovuta alla confusione con Caiatia, corrispondente invece all' odierna Caiazzo.
La Tavola Peutingeriana, redatta nel III-IV sec. d.C., ma ricalcata da un originale probabil­mente del I sec. a.C., riporta chiaramente una Gahatie, posta sotto Adelfas, al di là del Volturno, e una Calatie, segnata sulla via che unisce Capua con Bibento, al di qua, dunque, del Volturno.

Strabone nomina due volte Calatia (libri V e VI), ponendola sempre sulla Via Appia insieme a Caudio, Capua, Casilino e Benevento.
Allo stesso modo, Appiano Alessandrino III (II sec. d.C.) pone Capua tra i due centri di Calatia e Casilino (l' odierna Capua).

 

 

 

 

 


                       Ruderi delle cinta murarie di Calatia, comunemente chiamati
                         "torrioni", situati sulla Via Appia tra San Nicola la Strada e 
                        Maddaloni, a testimonianza dell' antica posizione della città.

Accanto a queste fonti puramente geografiche, cioé senza alcun riferimento storico preciso, abbiamo poi Tito Livio, l' analista augusteo, che nomina Calatia, per la prima volta, a proposito della seconda guerra sannitica (327-321, 316-304).
Prima del 321 a.C. Calatia aveva già fatto parte della Dodecapoli (associazione di dodici città senza alcun valore amministrativo ma solo militare e commerciale) etrusca in Campania, che comprendeva anche Nola, Acerra e la "città del falco", cioé Capua, con la quale Calatia condividerà gran parte delle sue vicende. Dunque Calatia era uno di quei centri di popolazione osca (antica "gens" della Campania centro-settentrionale), cui si riferiscono anche una serie di monete con dicitura dell' esergo in lingua osca, che furono assorbiti dalla dominazione etrusca durante l' espansione verso Sud, avvenuta tra il VI e il V sec. a.C. e che ebbe brusca fine quando Ierone di Siracusa difese i Greci di Campania (Calcidesi) contro gli Etruschi stessi nella battaglia di Cuma (474 a.C.).
Dopo questo scontro, non si avranno più notizie degli Etruschi di Campania.
Un nuovo popolo, però, si affacciava per la prima volta in Campania: i Romani.
Nel 321 a.C., la storia di Roma registra la celebre disfatta delle Forche Caudine (II guerra sannitica). In questa circostanza Tito Livio ricorda che a Calatia sarebbero stati mandati dieci finti pastori, i quali avrebbero indotto i Romani a spingersi nella Valle Caudina per raggiungere Luceria in Puglia. AI termine delle guerre sannitiche e delle successive guerre latine, Roma era divenuta padrona dell' intero territorio campano e Capua, che le era rimasta fedelissima, ricevette la cittadinanza romana. 


   Vasi d' argilla ritrovati negli scavi lungo il tratto di Via Appia tra San Nicola e Maddaloni.     

 

 

 

II connubio con Roma durò saldamente anche durante le guerre tarantine, ma la discesa di Annibale, il duce cartaginese che riaccese le speranze di indipendenza, cambiò la disposizione degli schieramenti politici.
Dopo la rotta di Canne (216 a.C.), Capua si alleò con Annibale e così fecero anche Calatia e Atella, mentre fedeli a Roma rimanevano Acerra, Napoli e Nola. La Campania si era, dunque, spaccata in due blocchi.
Nel 213 a.C. i consoli di Roma, Quinto Fulvio e Appio Claudio, approfittando dell' assenza di Annibale che era a Taranto, assediarono Capua, che ben presto si arrese. Di seguito furono stretti patti da parte di Roma anche con Calatia e Atella, che tornarono così in mano romana.
La loro punizione fu esemplare. Festo (erudito romano del II sec. d.C.) ci fa sapere che Calatia da civitas sine suffragio fu ridotta a semplice prefettura (in questo caso le città perdevano i propri magistrati ed erano rette da un prefetto inviato da Roma).
Come Calatia, seguirono la stessa sorte anche altre città, tra cui Capua, Cuma, Atella. Ma i Romani, in ossequio alla loro politica, non calcarono troppo la mano sugli sconfitti. Essi stessi pensarono a ripopolare queste città, inviando coloni. Così Calatia, da città di origini osche e di trascorsi etruschi, cambiò volto, assumendo i caratteri di colonia latina (ancora una volta le nostre prime '”spie” sono le monete, che adesso portano nell'esergo la dicitura di “Roma” o “Romano” e addirittura presentano a tergo l' immagine della lupa capitolina).
Nel 176 a.C. i censori Q. Fulvio Flacco e A. Postumio Albino riedificarono le mura di Calatia e, più tardi, il dittatore L. Cornelio Silla la annesse al territorio della sua colonia di Capua.
Infine, Cesare -così ci informano le fonti Svetonio, Velleio e Patercolo- mandò ventimila veterani a popolare le terre campane; con ogni probabilità anche Calatia fu una di queste. La Repubblica di Roma era ormai finita, si apriva la nuova stagione dell' impero: Augusto creò colonie in tutta Italia e una iscrizione marmorea dimostrerebbe che tra queste colonie ci sarebbe stata anche Calatia. Successivamente Calatia subì le alterne vicende imperiali insieme a Capua (alla quale continuava ad essere strettamente legata) e all' intero territorio campano.
Così,sotto Vespasiano, Capua fu punita per essersi schierata dalla parte di Vitellio.
Con Adriano la Campania divenne la VII regione nell'ambito della divisione dell' Italia; infine, Costantino, trasportando la capitale a Bisanzio, ridusse il territorio italiano ad una semplice provincia.
Mentre l' Impero di Roma fioriva in tutto il suo splendore, si affacciava una nuova forza, proveniente dall' Oriente, capace di trascinare ingenti masse: il Cristianesimo.
La nuova fede, che tuttavia trovava ancora la forte resistenza del paganesimo dei filosofi e dei dotti, si diffuse rapidamente sin dal I sec. d.C.
L' apostolo Pietro giunse a Brindisi nel 42 d.C. per recarsi a Roma, attraverso la Via Appia. Si fermò a Capua, lasciando San Prisco e, secondo la tradizione, dovette fermarsi a Calatia, che ricevette così la nuova fede, già nel I secolo della nostra era.
La storia dell' Impero continuava la sua corsa verso un progressivo decadimento, che vide i primi sintomi nel disastro economico generale e nella successiva incapacità di fermare i barbari che premevano ai confini. Così le popolazioni barbariche penetravano a più riprese in Italia e Genserico, re dei Vandali, giunse nel 455 d.C. a distruggere il territorio di Capua e Nola; e certo anche Calatia non dovette essere risparmiata. Vent' anni dopo, l' Impero d' Occidente crollava definitivamente: il 476 d.C. segna l' inizio di una nuova era. E' facile immaginare come Calatia potesse trovarsi al centro dei successivi scontri tra Belisario e i Goti (535 d.C.) e poi tra Narsete e gli Alamanni e i Franchi; tutte lotte che si svolsero in Campania e che ebbero un punto nevralgico proprio in Capua.
Nel 589 d.C. Autari III, re dei Longobardi, costituì in Campania un unico Ducato con sede a Benevento. Alla famiglia di Arechi I, duca di Benevento, e a suo figlio Grimoaldo apparterrebbe un certo Romoaldo, la cui iscrizione funebre è stata ritrovata nel territorio di Calatia.
Calatia, insieme a Suessola e Nola, fece parte dei dominio indipendente (815 d.C.) del conte Landulfo di Capua, che venne attaccato dal principe beneventano Radelchi.
Quest' ultimo fu sconfitto più volte e, come racconta la Cronicon comitatum Capuae, uno di questi eventi accadde proprio a Calatia.
All' arrivo dei Saraceni si infittirono anche le lotte interne e in particolar modo quelle tra i Ducati di Benevento e Napoli.
Intanto, nell' anno 861 d.C., nuovo signore di Capua era divenuto Pandone, detto il "Rapace", che prese Calatia riducendola in rovina, mentre suo figlio Landenulfo la saccheggiò succes­sivamente. Queste notizie sono narrate dalla cronaca di Erchemperto, annalista salernitano.
Invece, la già citata Breve Cronicon Comitatum Capuae ricorda che Calatia, insieme a Suessola, fu bruciata dai Saraceni. Si trattava dei Saraceni guidati da un certo Seodam, che bruciò Calatia, per l' appunto, nell' anno 862 d.C. Ma Calatia fu bruciata ancora una volta da Pandenulfo, conte di Capua e Caserta, alleato a Saraceni e Napoletani, nell’ anno 880, nell' ambito di lotte interne alla famiglia, per il possesso dei Contadi. Lo stesso Pandenulfo si preoccupò, in seguito, di ricostruirla, ma Calatia, così come Suessola, non risorse più, se non per rimanere un semplice insieme di abitazioni. La tradizione vuole che i Calatini superstiti riparassero a Caserta, luogo irto e malagevole e perciò di facile difesa. Mentre, sempre secondo la tradizione, solo otto famiglie trovarono scampo a "Maddala prope civitatem" (Maddaloni).
Alla fine del X sec., un piccolo villaggio, non molto lontano dall' antica Calatia, doveva ancora esistere... E' del 1113 un documento dell'arcivescovo di Capua che enumera, tra le 25 Chiese di Maddaloni, anche una "S. Maria de Galatia", che ritorna anche in un documento del 1127, quando ormai la città era quasi del tutto scomparsa.
I marmi e le colonne di questa Chiesa servirono poi all' Episcopo Giovanni, nel 1153, per costruire la Cattedrale di Caserta Vecchia.
Bisogna arrivare al 1221 per rinvenire il primo documento che, riferendo di certi poderi siti tra S. Maria di Galatia e Maddaloni, ricorda un nobile proveniente dalla città di “S. Nicola”. II toponimo è incompleto e solo successivamente si aggiungerà l'appellativo "ad Stratam ".
Tant’ è che, nel 1319, il casale di "Sanctii Nicolai de Strata " è detto trovarsi nella terra di Maddaloni.
Risale ad epoca successiva, 1413, un documento con cui l' arcivescovo di Capua Senne, determi­nando i confini della Diocesi di Caserta Vecchia, riferisce di una Ecclesia di SanNicolae 
AI tempo di Carlo Borbone, S. Nicola la Strata era una delle circa 2000 Università che componevano l'organizzazione del Regno di Napoli.
Essa, dunque, era sottoposta ad un preciso sistema fiscale, basato sul pagamento di tributi ("gabelle") all'amministrazione centrale.
Da un documento del 1760 si evince che il casale di San Nicola la Strada era sottoposto in parte alla giurisdizione di Caserta e, in altra, a quella di Capua. Ciò è dovuto al fatto che il casale era spaccato in due dalla strada che da Capua conduce a Maddaloni.
Alla giurisdizione di Capua appartiene anche la attuale Chiesa “Madre” di S. Maria degli Angeli.
Durante questo periodo si hanno anche numerose notizie di truppe militari che pernottarono nel casale di San Nicola la Strada, sempre bene ospitati dal sindaco allora in carica. Si trattava, per lo più, di guarnigioni spagnole di passaggio per Velletri, dove, nel marzo del 1744, si svolse la famosa battaglia degli Ispano-Napoletani di Carlo contro gli Austriaci di Lobko­witz.


"Tagliamonti" al lavoro. La vera crescita socio economica di San Nicola la Strada iniziò nel 1700 all' ombra delle grandi costruzioni vanvitelliane. Nel territorio sannicolese si trovavano numerose cave (cosiddette "i monti"), che fornivano il materiale tufaceo alla fabbrica della Reggia borbonica di Caserta. La tradizione dei tagliapietre è poi continuata fino agli albori degli anni sessanta.



In generale, quello borbonico fu un periodo durante il quale le riforme produssero effetti sociali e demografici di una rilevante entità sul territorio di Caserta, nel quale va compreso, naturalmente, anche S.Nicola.
E' chiaro che parlare di riforme nel periodo borbonico significa essenzialmente riferirsi a un certo risveglio economico, senza alcun reale sviluppo, né mobilità sociale.
Tuttavia, alla fine del '700, piccoli ma significativi indizi di mutamento sono la diminuzione progressiva del tasso di interesse e il conseguente aumento di alcune attività di commercio (botteghe alimentari etc.).
Le testimonianze riguardanti S. Nicola a partire dall' inizio del nostro secolo sono scarse e, comunque, poco rilevanti. II piccolo centro, assestatosi ormai come un agglomerato di qualche migliaio dì anime, viveva essenzialmente di una economia agricolo rurale.
Con l' avvento del regime fascista anche S. Nicola si avviava a prendere parte a quella politica di accorpamento, con la quale il Duce intendeva disperdere il meno possibile le proprie forze di controllo e favorire lo sviluppo di centri più grandi. Così, il giovane commissa­riato insediatosi a S. Nicola il 12 giugno del 1927 con la nomina a Podestà del Cavaliere Ufficiale Vincenzo Centore, di lì a qualche mese ( R.D. n. 1177 del 6/5/198) perse la sua autonomia e finì con l’ essere raggruppato al comune di Caserta.
Stessa sorte seguirono altri piccoli paesi sparsi nel circondario, come Casagiove e S. Marco.
A questo punto, le vicende politico-amministrative, nonché storiche, di San Nicola la Strada si confondono con quelle di Caserta, cosicché quando quest' ultima, sul finire sempre del 1927, perse la sua provincia, l' intero territorio che un tempo faceva parte della provincia di Terra di Lavoro passò alle dipendenze di Napoli.
La situazione si protrasse fino a quando i singoli centri riuscirono a riottenere la loro autono­mia e, nel 1946, Caserta riebbe la sua provincia; allora le varie comunità tornarono a separarsi, tranne S. Marco, alla quale fu lasciata la possibilità di rimanere ancora aggregato a Caserta.
San Nicola la Strada era un tranquillo e laborioso centro agricolo al di sotto dei seimila abitanti, con una propria precisa identità etnico-storico-culturale, quando, il 31 ottobre del 1946, per effetto del riesame delle autonomie locali, sancito dal Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato n. 435 (pubblicato nella G.U. della Repubblica  del 23/12/1946, n. 9), gli fu restituito il titolo di “comune”.
San Nicola la Strada è un centro prettamente residenziale, vicino ai trentamila abitanti tra anagrafati e non ufficialmente registrati, quando, il 12 aprile 2005, con decreto del Presidente della Repubblica, gli è attribuito il titolo di "città". 

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Interno di tipico cortile sannicolese in Via Appia

 

 

 

 




















Il tratto (in bianco) della Via Appia che attraversa San Nicola la Strada

(Tutte le foto aeree della città realizzate dal Corriere di San Nicola sono consultabili sul sito www.corrieredisannicola.it nella sezione "Fotogallery")