Eurolandia, Germania da ...alleggerire

 

 “E’ emerso che l'Italia guadagnerebbe più di altri membri di Eurolandia nel liberarsi dalla moneta unica e ripristinare il controllo sovrano sulle leve di politica monetaria...Non vogliamo unirci al coro dei connazionali che reclamano l'uscita dell'Italia da Eurolandia, anzi... Quel che invece si può e si deve fare, in forza dei nostri favorevoli fondamentali di ricchezza, consiste nel negoziare con l'Europa, ed in particolare con la Germania, un profondo ripensamento dei vincoli che hanno contribuito all' ampiezza della spirale recessiva di questi anni”.





Francesco Discanno

-University of Cambridge Examiner
-Respondent per la sezione Eiu del settimanale inglese “The Economist”





Come sappiamo, il G7 è il club delle sette nazioni industrializzate più ricche di tutto il globo. In questo gruppo l'Italia non sfigura affatto, anzi. Preceduta soltanto dal Canada, l'Italia è la nazione con il minor debito pubblico e privato verso l'estero (36 mila dollari pro-capite). L'Italia, subito dopo la Germania, è il paese con il miglior avanzo primario di bilancio (cioè la differenza tra le tasse incassate dai contribuenti e gli interessi pagati ai risparmiatori). Gli italiani, con una ricchezza privata superiore a quella dei tedeschi (80 mila dollari pro capite contro 77 mila), sono nei fatti il sesto popolo più benestante al mondo. La nostra nazione, secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale sulla sostenibilità del debito a lungo termine, risulta tra i paesi industrializzati più solvibili perché ha riformato la propria struttura pensionistica. Nonostante la deindustrializzazione in atto, l'Italia resta la maggior potenza manifatturiera europea dopo la Germania.
Secondo l'economista Andrew Roberts della Royal Bank of Scotland, l'Italia ha "un settore vivace delle esportazioni ed un avanzo primario. Se c'è un paese in Eurolandia che potrebbe trarre beneficio dal lasciare l'euro e ripristinare la competitività, quello è ovviamente l'Italia ".
In una ricerca condotta dalla Bank of America mediante l'applicazione della teoria dei giochi -che studia l'interazione strategica tra diversi individui o diversi paesi- è emerso che l'Italia guadagnerebbe più di altri membri di Eurolandia nel liberarsi dalla moneta unica e ripristinare il controllo sovrano sulle leve di politica monetaria.
Vero è che la posizione finanziaria netta dell'Italia -cioè la differenza tra gli investimenti  esteri in Italia e gli investimenti italiani all'estero- ha segno negativo, come del resto la posizione finanziaria netta di quasi tutti i paesi aderenti al G7. Ma la situazione non è molto lontana dall'equilibrio, in quanto il saldo negativo è pari al 20 % del PIL. 
Questa nostra condizione è ben diversa da quella dei PIGS -cioè Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna- che in media hanno un saldo negativo superiore al 100 % del PIL. 
Il quasi-equilibrio degli investimenti e l'avanzo primario dell'Italia implicano che il Bel Paese può vantarsi di poter abbandonare l'Eurosistema in qualunque momento lo desideri senza dover fronteggiare una crisi finanziaria.
Il deficit del bilancio italiano è intorno al 3 % del PIL, come richiede il fiscal compact europeo, diversamente da quanto si calcola per altri importanti paesi europei come la Francia (o come la Gran Bretagna, che però non è soggetta a vincoli in quanto ha mantenuto la propria moneta). La nostra cugina d'Oltralpe ha scelto la strada dello sforamento allo scopo di non restare invischiata in una condizione di lunga austerità.   
Dunque non basta citare l'elevato debito pubblico, che è una caratteristica alla quale tendono comunque tutti i paesi avanzati, per definire lo stato di salute dei conti italiani.  
Non vogliamo unirci al coro dei connazionali che reclamano l'uscita dell'Italia da Eurolandia, anzi. Abbandonare l'Eurosistema avrebbe un impatto politico troppo forte, ben più drammatico di quello finanziario. Finiremmo in un certo senso per certificare la nostra debolezza e perderemmo ulteriore peso nella dinamica  delle decisioni internazionali. 
Ormai quello che è fatto è fatto. Non è possibile portare indietro le lancette dell'orologio. Quel che invece si può e si deve fare -in forza dei nostri favorevoli fondamentali di ricchezza- consiste nel negoziare con l'Europa, ed in particolare con la Germania, un profondo ripensamento dei vincoli che hanno contribuito all' ampiezza della spirale recessiva di questi anni. In questo potremmo allearci con un gigante politico, la Francia, che sotto il profilo dei conti non se la passa tanto meglio di noi. Un altro gigante politico che non si preoccupa particolarmente del quasi-pareggio di bilancio è la Gran Bretagna. Gli inglesi, pur membri della UE, a suo tempo decisero di non mettere in pensione la sterlina. Per cui non saranno  -sfortunatamente per noi- della partita negoziale.
Date la posizione dominante dei tedeschi rispetto ai partner continentali e la prevalenza delle tematiche finanziarie su quelle economiche nel dibattito europeo, bisognerà  fare in modo da alleggerire la portata della Germania e della finanza (le cui leve vengono peraltro mosse a Francoforte) nell'Eurosistema.  
Insomma si dovranno sottrarre significativi tratti del processo decisionale dalle mani dei tedeschi e di quegli organi istituzionali comunitari che rispondono prevalentemente a logiche di ordine finanziario.  
L'occasione buona potrà essere quella della prossima tornata elettorale europea. Gli elettori dovranno esigere dagli eletti una concreta attenzione politica a queste istanze se vorranno vedere l'economia del nostro paese smettere di arrancare.   

 

 

 



Francesco Discanno

-University of Cambridge Examiner
-Respondent per la sezione Eiu del settimanale inglese “The Economist”