"GESU’ VIA AL PADRE"
Don Francesco parla della Quinta Domenica di Pasqua
Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me..."; con queste parole, che sono un'esortazione a vincere la tristezza e la paura, mediante la forza della fede, inizia il passo del Vangelo di oggi.
Il turbamento, cui il Signore allude, si riferisce a quel che, in precedenza, aveva detto ai discepoli, non appena Giuda ebbe lasciato il cenacolo:" Figlioletti, dice il Maestro, ancora un poco starò con voi. Mi cercherete...ma dove io vado, voi non potete venire. " (Gv.13,33).; ed anche a Pietro, che insisteva per conoscere il significato di quelle parole, Gesù aveva ribadito:"...non puoi seguirmi, ora, mi seguirai più tardi. "( Gv.13,36).Gesù, con un lungo discorso di addio, che è quasi un testamento, si congeda dai suoi, li prepara alla sua imminente morte, ma, allo stesso tempo, annuncia la sua resurrezione e rivela qualcosa della vita futura, che li attende, come attende ogni altro uomo, che abbia creduto e sperato nel Figlio di Dio, il Redentore. "Nella casa del Padre mio, dice il Signore, vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato, e vi avrò preparato un posto, ritornerò, e vi prenderò con me, perché siate anche voi, dove sono io."
E' un discorso sulla vita oltre il tempo, questo che il Maestro fa', un discorso, che esige una fede forte, capace di oltrepassare tutto ciò che fa parte del mondo visibile e concreto, per andare oltre, per affidarsi alla certezza di un " al di là", del quale non ci sono raffigurazioni. Pensare senza il conforto di immagini, è pressoché impossibile all'uomo, del resto, la fede esige che ci si affidi, non ciecamente, ma in virtù dell'amore, a chi parla; ed ecco quella supplica:" abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me." Queste parole Cristo rivolge a quegli undici uomini, che lui stesso aveva scelto, e coi quali aveva condiviso tre anni di vita, di predicazione e di gesti, che avevano risanato tanti; tuttavia, egli sapeva bene che, come uno di loro l'aveva tradito, gli altri, ancora, non erano in grado di comprendere in profondità le sue parole, perché la loro fede era ancora povera e vacillante, e la loro mente, ancora non aveva ricevuto la luce dello Spirito. Nel lungo colloquio notturno con Nicodemo, Gesù aveva detto:"...chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra..."; egli si riferiva alla difficoltà che l'uomo ha ad oltrepassare i dati dell'esperienza sensibile, per aprirsi al Mistero, al soffio dello Spirito, e credere alla rivelazione che viene dall' Alto. I discepoli, non sono diversi da Nicodemo, e il brano del Vangelo di oggi ce ne dà conferma facendoci incontrare due di loro, due, nei quali tutti noi, in qualche maniera, possiamo specchiarci e riconoscerci: sono Tommaso e Filippo, due uomini generosi nella sequela, ma anche molto legati ai ragionamenti, condotti con buon senso e, soprattutto, fondati sulla concretezza dei fatti. Gesù parla di una casa, la casa del Padre, un'abitazione ricca, e molto spaziosa, tanto che può accogliere tutti; anzi, dove Gesù stesso preparerà un posto per ognuno dei suoi, così che, quella comunione, iniziata sulla terra, continui anche oltre la vita temporale. L'immaginazione di Tommaso, non poteva che essere legata all'idea di un luogo fisico, riguardo a quella casa, dove tutti avrebbero continuato a vivere insieme al Maestro; perciò, quando questi dice:" E del luogo dove io vado, voi conoscete la via...", egli non ripensa agli insegnamenti del Maestro sulla sequela e sul Regno, ma, ricordando quelle strade percorse con Gesù, gli chiede: " Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via? " Io sono la via, la verità e la vita - risponde Gesù -nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me.
Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto"; una affermazione, questa, che è la sintesi altissima del suo insegnamento e della rivelazione che egli ha fatto, di se stesso e del Padre, ma i suoi non capiscono.
E, che non sia soltanto Tommaso, ad aver difficoltà a seguire il discorso del Maestro, lo confermano le parole che Filippo dice, poco dopo, quando, rivolto a Gesù gli chiede:" Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Filippo, non molto tempo prima, aveva assistito alla prodigiosa moltiplicazione dei pani e dei pesci, e aveva ascoltato le parole del Signore sul vero Pane di vita, (Gv.6,32 ss.), ma, ancora, aveva bisogno di vedere qualcosa di concreto, come il volto di una persona, anche se si parla del Padre, il cui Volto, è inaccessibile all'uomo, senza la mediazione del Figlio. La domanda di Filippo dà la misura, non solo di quanto povera fosse la fede, ma, e Gesù lo sottolinea con dolore, di quanto superficiale fosse l'amore per il Maestro: "Da tanto tempo sono con voi, dice Gesù, e tu non mi hai riconosciuto, Filippo?" La lunga consuetudine di vita col Cristo, non è valsa ad aprire, non tanto gli occhi, quanto il cuore dei discepoli sul Mistero di quel Gesù, che seguono, e che, alcuni di loro, hanno visto trasfigurato nella gloria sul Tabor; essi si fermano alla superficie dei fatti, e le parole scivolano, non comprese; non riescono a intuire qualcosa della divinità dell'Uomo, che sta loro davanti e che, chiamandoli amici, ha rivelato i segreti della vita del Padre suo. Non c'è da meravigliarsi; son passati duemila anni da che il Figlio di Dio si è fatto uomo, morendo e risorgendo per noi, e, quella stessa frase, che egli rivolse a Filippo, può ancora ripeterla ad ognuno di noi:" Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai riconosciuto? "E' una domanda che interpella la qualità della nostra fede, una domanda che deve inquietarci, perché la fede esige radicalità; essa è, all'origine, un dono gratuito di Dio, simile ad un piccolo seme, ma che ha in sé una grande potenzialità, perciò è indispensabile coltivarla, e coltivarsi come uomini e donne di fede, e ciò con la preghiera assidua, l'approfondimento della parola, la meditazione, la frequenza ai sacramenti e le opere, che l'amore esige. Il Signore sa, che, non sempre, e non per tutti, la fede è facile; ma, il fatto che essa sia difficile, non è sinonimo di impossibile, perché Dio, a tutti manda il suo Spirito, ad illuminare, fortificare, indicare la via, e riportare alla memoria tutto quanto Cristo ci ha detto. E' nello Spirito, poi, che nasce e cresce la comunione, quella familiarità che ci consente di intravedere qualcosa del Mistero, che, solo alla fine, conosceremo in pienezza, quando il volto di Dio sarà svelato, e potremo riconoscerci, somiglianti a Lui, nel Figlio. Per ora, dobbiamo impegnarci a maturare, e ciò non è un sogno, se Cristo stesso ha detto:" In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre". Di persone che, animate da una fede veramente grande, hanno compiuto grandi opere, è disseminata la Storia; e anche noi, alcuni di loro, li abbiamo conosciuti da vicino; basti pensare a una Teresa di Calcutta, e a Giovanni Paolo II, solo per citare i più vicini. Forse, a molti di noi, non saranno richieste grandi cose, ma, tutti, come ci dice Pietro, possiamo diventare "pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio... stringendoci a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio", e ciò, indipendentemente da ruolo che svolgiamo, sia esso importante o modesto, o anche nascosto agli occhi degli altri; perché, in qualunque situazione ci troviamo ad operare, se veramente, Cristo è la nostra Via e il Centro della nostra vita, possiamo testimoniare la nostra fede, e " proclamare, sono sempre le parole di Pietro, le opere meravigliose di Dio, che ci ha chiamati dalle tenebre, alla sua ammirabile luce."(I Pt.2,9)
(Don Francesco Catrame)
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