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IL VADEMECUM DELLA RACCOLTA DEI RIFIUTI


Tutto quanto bisogna sapere sulla raccolta dei rifiuti a San Nicola la Strada

 

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VINCENZO SALZILLO, PIANISTA

Tutta la carriera artistica del talento musicale sannicolese
(a cura del ©Corriere di San Nicola)

NAPOLI NEL CUORE


Tutta la storia dell'evento promosso da Alfonso Moccia narrata ed immortalata dal Corriere di San Nicola

LA STORIA DELLA PROTEZIONE CIVILE DI SAN NICOLA LA STRADA 
Fiero di averla narrata ed immortalata sin dal primo giorno sulle pagine del Corriere di San Nicola. 
Onorato di essere il giornalista più titolato a parlare di questa grandissima squadra. 
Nicola Ciaramella

STORIA DEL CORPO DELLA POLIZIA MUNICIPALE DI SAN NICOLA LA STRADA 
Fu istituito nel 1990. Le carriere dei sei comandanti che sinora lo hanno guidato.

OGNI CITTADINO PUO' SALVARE UN CITTADINO
Tutti gli articoli del "Corriere di San Nicola" sul progetto
"SAN NICOLA LA STRADA CARDIOPROTETTA"

IO NON RISCHIO 

Cosa sapere e cosa fare PRIMADURANTEDOPO un terremoto

-Buone pratiche di protezione civile a cura anche del Nucleo della Protezione Civile di San Nicola la Strada-

 

IL MIO REGALO ALLA MIA CITTA'

Dipingi on line la "tua" città"
Un “clic" quotidiano cominciato mercoledì 9 febbraio 2005...


Una città, il cuore, la mente...


L'


"Ode alla mia città"


composta da


Nicola Ciaramella


PAOLO CONTE, PILOTA 
(TUTTO sulla carriera del
 piccolo grande fenomeno del motociclismo casertano)

Una LUCE sempre accesa su DON ORESTE
Gruppo Facebook "DON ORESTE NON E’ ANDATO VIA”: continua, senza pause, l’iniziativa creata da Nicola Ciaramella per mantenere sempre vivo il ricordo dello scomparso amatissimo parroco di Santa Maria della Pietà.

L'ANGOLO DELLA POESIA

 

 


Versi inediti di poeti lettori del Corriere di San Nicola

29.ma Festa del Tesseramento dell’Associazione N.S. di Lourdes 

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Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione.Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione. 1

FELICI DI OFFRIRE LE NOSTRE FOTO AEREE

 

 

Il nostro GRAZIE a quanti hanno scelto le nostre immagini dall'alto di San Nicola la Strada quali icone di siti internet e di gruppi facebook locali

TUTTO IL "DISSESTO FINANZIARIO" MOMENTO X MOMENTO 
Come si giunse al giorno più nero della storia amministrativa sannicolese e chi nulla fece per evitarlo 

San Nicola la Strada SEMPRE nel cuore
...Una bellissima iniziativa per tutti i sannicolesi...

PERCORSO QUARESIMALE CON LA SANTA SINDONE 
I VIDEO dei cinque incontri del programma promosso da Don Antimo Vigliotta e dal Prof. Luciano Lanotte

"La Fede è in noi"

Il Corriere di San Nicola si pregia di pubblicare in anteprima il quinto libro del saggista sannicolese ANTONIO SERINO, che sarà presentato il 13 aprile nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.



Sono passati quattro anni da quando, nella primavera appena iniziata del 2021, il saggista sannicolese ANTONIO SERINO affidò al “Corriere di San Nicola” la pubblicazione di “Working progress”, il primo libro di una lunga straordinaria stagione letteraria, che, attraverso “Cara Famiglia”, Famiglia Betania e “Giovani e Chiesa a confronto: quale religione?”, culmina oggi nel suo ultimo lavoro, “La Fede è in noi”, dove trova la completa espressione tutto il suo pensiero di fervente cattolico, maturato per l’intero corso della sua vita attraverso continue esperienze, sempre in corso e ben lontane dall’esaurirsi, di formazione, di partecipazione, di promozione e di divulgazione.
Contribuire, anche se umilmente nel suo piccolo, con i suoi studi, le sue riflessioni, ad accrescere le speranze di migliorare la vita sulla base dei concetti e dei principi cristiani, è il fine a cui tende l’incessante impegno che egli ha assunto e conduce con fede ed abnegazione nei confronti della comunità. 

Nicola Ciaramella
 

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ANTONIO SERINO è nato e vive a San Nicola la Strada. E’ laureato in Scienze dell'Economia e Gestione delle Imprese. La sua esperienza formativa ha forte matrice cattolica perché fin da piccolo la sua famiglia era composta da persone cattoliche, particolarmente attive nella parrocchia. Per questo motivo ha partecipato alle varie associazioni cattoliche presenti.

Ha mosso i primi passi nell’Azione Cattolica per poi passare alla vita della Parrocchia fino al Movimento Giovanile Missionario, promosso e curato dallo storico Direttore Diocesano Don Antonio Pasquariello. In questo Movimento, unitamente a tanti altri amici, ha contribuito all’animazione locale mediante raccolte fondi, mostre di oggetti di artigianato africano, nonché attività oratoriali per bambini.

Ha fatto parte ed ancora annovera la sua presenza in associazioni culturali e religiose, in quanto fermo assertore che la coesione sia uno strumento basilare per la crescita sociale e solidale.

Da circa trent’anni è componente del Consiglio degli Affari Economici della Parrocchia, di cui conosce la difficile gestione economico patrimoniale.

Dal 2019 coordina il gruppo Famiglia Betania, fortemente voluto dal già parroco di Santa Maria degli Angeli, Don Franco Catrame, un insieme di famiglie che studia le esortazioni apostoliche firmate da Papa Francesco, necessarie alla famiglia di oggi per comprendere e vivere in un modo più consapevole la vita odierna.

Dal 2020 collabora con il "Corriere di San Nicola".


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A Bruna, Saverio e Ida 
la famiglia che
il Signore mi ha donato


“Una fede che non diventa cultura
è una fede non pienamente accolta,
non interamente pensata,
non fedelmente vissuta”  

(San Giovanni Paolo II) 



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PRESENTAZIONE 


“Con l’aiuto di Dio ce la farò...”
“Con l’aiuto della Madonna potrò affrontare questo delicato momento…”

Quante volte ci sarà capitato di profferire piccole frasi come queste, piccole frasi che possono racchiudere tutto un sapere, una sapienza, un credo oppure solamente una speranza in qualcosa di inimmaginabile. In tanti casi queste piccole frasi identificano anche il proprio modo di affrontare la vita e comunque ogni momento della propria esistenza. Tali circostanze si riferiscono all’imponderabile e quindi si può far fronte solo con la forza interiore, con l’anima, che ricarica con forza oscura ma pressante ciò che si dovrà fare. Non occorre fare tanti preamboli per esprimere la nostra forza di fronte agli imprevisti della vita, se siamo coscienti delle potenzialità che esprimiamo con pochi riferimenti. Ma da dove viene e come si manifesta questa potenzialità, questa forza misteriosa che ci lega all’ignoto, al mistero? Come diventiamo certi di poter affrontare situazione di diverso genere se non siamo consapevoli di quello che ci aspetta o di quello che si sta per fare?
Ci è stato sempre consigliato - e in tante occasioni abbiamo anche seguito - il detto “abbi fede e tutto si aggiusta, tutto si riallinea” e magari così, come per magia, quel determinato problema che invadeva la nostra tranquillità stranamente veramente scompare nel nulla, eliminato dalla presa di coscienza che siamo stati aiutati da una forza esterna che ci ha apportato un benessere tale che non risentiremo più dell’angustiarci per provvedere a ripararci dall’evento che ci ha colpito.
All’improvviso passiamo, dunque, da uno stato di frustrazione ad uno di gioia, per aver eliminato d’improvviso un ostacolo dalla nostra vita, con un risparmio notevole di energie. E’ tutto così bello e semplice ma nel nostro inconscio, nella nostra incoscienza, abbiamo mai avuto modo di constatare come si è formata in noi questa energia compressa che libera la forza ogni qualvolta ne abbiamo bisogno e senza la dovuta consapevolezza, questa certezza che possiamo affrontare le situazioni …imbarazzanti senza alcun problema o, magari, senza tanta difficoltà? E poi, da dove viene questa consapevolezza?
A questa domanda vuole dare un piccolo contributo questo testo, che si propone come un piccolo vademecum che possa scuotere il grigiore della nostra mente quando si trova di fronte ad interrogativi impegnanti e difficili da risolvere e che considera alla base di ogni singola azione intrapresa la forza della Fede che è in noi, cioè l’elemento cardine di riflessione che si pone sempre di fronte a tutte le problematiche che possiamo incontrare nella vita.
Per questo motivo sarebbe necessario conoscere come saperla rivalutare e come utilizzarla per connetterci in modo continuo e duraturo con noi stessi e, in particolare con l’Eterno. Si tratta quindi di un piccolo pro memoria che enuncia i punti essenziali per poter rinnovare in noi la forza scatenatrice dell’Amore misericordioso divino che opera attraverso lo Spirito di Dio che sarà in noi solo e quando potremo essere in grado di rimanere in unione con Dio.

Antonio Serino 


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CAPITOLO   I

LA   FEDE

  • PARLIAMO DI FEDE

Cosa è la Fede?                                                                                                                 

Se ponessimo questa fatidica domanda a tutte le persone che incontriamo riceveremmo diversi tipi di risposte a seconda di come si autodefinirebbe il soggetto che abbiamo come interlocutore: il fatalista, per esempio, potrebbe affermare di primo acchito, che la fede sia un qualcosa di interiore che abbiamo tutti, una sorta di vitalità che ci dà la spinta e la forza per avventurarci nella diatriba, una forma di energia che ci viene profusa forse da una esasperazione o una disperazione che ci proietta verso l’incognita, verso il mistero e il destino ombroso che ci vengono incontro, per cui cerchiamo in tutti i modi di restare aggrappati a un qualcosa di misterioso che nelle nostre intenzioni ci guiderà verso le risposte che stiamo cercando; i non fatalisti, invece, risponderebbero invece che si tratta di discutere di tematiche virtuali, per niente riscontrabili o verificabili nella realtà, per cui non si potrebbero mai dedurne gli effetti: pertanto, non essendovi nulla di concreto, sarà solo la storia a dare la risposta all’evento che abbiamo di fronte.                                                                Sono ovviamente situazioni estreme, non sempre verificabili giornalmente ma nel mondo moderno purtroppo, prende sempre più piede il posizionarsi su queste due fazioni. Dal nostro punto di vista esclusivamente cattolico, invece, ravvediamo e proponiamo tuttavia una terza eventualità, certamente più connessa col proprio modo di vivere e di affrontare pacificamente la nostra realtà quotidiana, forse più appagante e soddisfacente. Per noi cristiani la Fede è innanzitutto una esperienza personalissima, in quanto mette in unione l’uomo a Dio, un’azione mediante cui l’essere umano, indipendentemente da qualsiasi altro elemento caratterizzante, si impegna a dialogare, meditare, riconoscere e ad agire secondo l’intesa che riesce a raggiungere nella propria ed interiore introspezione, perché tale contatto riesce a influenzare nel più profondo intimo l’anima della persona che si mette di fronte a Dio e ne contempla i benefici che ne conseguono.         Questo primo elemento ci introduce in quello che è il fattore determinante di tutto l’argomento, che costituisce infatti il primo passo che ci mette a nudo di fronte alla nostra spiritualità: è il primo incontro che ci fa conoscere Gesù, il primo approccio in cui tutto lo scibile religioso si pone davanti a noi in attesa di una nostra risposta e che a seguito della quale si apre lo scenario della cristianità che ci è offerta per seguire e diffondere la Parola di Gesù Cristo. Il riconoscimento di tale concetto porta l’uomo al confronto conseguenziale con la comunità, perché la Fede ha anche a che fare con l’aggregazione sociale: infatti, fa parte naturale della fede introdurre il concetto di “io” in quello di “noi” appartenente alla famiglia di Dio, cioè l’ assemblea composta da fratelli e sorelle che comunitariamente vivono lo stesso Credo e proprio perché come ci rivela San Paolo, la Fede è contraddistinta dall’ascolto, allora è implicito che essa non può essere una cosa a sé stante, ma deve coinvolgere necessariamente anche una seconda parte, un secondo soggetto, visto che stiamo parlando di ascolto. In altre parole occorrerà chi ascolta ma anche chi parla, cioè necessita il coinvolgimento anche di un vero e proprio partner con cui vivere e convivere in simbiosi. Ecco perché, dunque, è fondamentale che alla base dell’atto di fede vi sia l’incontro con qualcuno o qualcosa, o circostanza che mette in relazione il nostro essere con Dio. In quell’incontro, ignoto dall’inizio, l’uomo diventa sé stesso, si responsabilizza nelle sue scelte ma nello stesso tempo gli viene garantita una assistenza globale che lo accompagnerà fino alla morte, come è accaduto agli Apostoli nel loro primo incontro con Gesù.

“ Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono   (Luca 5)  

Cosa accade dunque agli Apostoli in questo incontro con Gesù? Come si comporta Gesù? Cosa riferisce agli uomini che l’ascoltano, vi è stata un’imposizione o una coercizione? Niente di tutto questo. Contrariamente a quanto si può pensare o addirittura ad una immediata conversione, va detto che la disponibilità dei primi Apostoli a seguitare e fare tutto ciò che viene loro detto da Gesù accade invece in modo sereno e pacifico, senza alcuna forzatura o costrizione ma è generata da una lenta e progressiva attrazione verso quell’uomo pacifico e tranquillo che moderatamente si rivolge a loro consigliandoli di fare ciò che Lui dice loro, ed essi si apprestano ad ubbidirgli per il solo fatto di riconoscergli doti e caratteristiche proprie dei “maestri” di vita e di insegnamento. D’altra parte non dobbiamo dimenticarci che Pietro aveva già conosciuto Gesù in altra circostanza e già in quel caso aveva avuto modo di presenziare ai poteri divini di cui Gesù era in possesso. Forse già per questo primo sentore Pietro era stato invaso da sicurezza e certezza in quello che gli era stato appena detto da Gesù per cui non esitò a comandare agli altri di riprendere il largo e di fare quanto venisse comandato.    L’incontro in questione allora non implica solo quel momento ma comprende anche la fase precedente fatta di altre occasioni in cui avevano avuto modo di conoscenza, seppur vagamente cosa facesse Gesù. E quella fase di approccio in cui i futuri Apostoli gettavano le reti e subito ne apprezzavano la conseguenza con abbondante pesca, si trasforma in un segno di fede, un incontro in cui l’istante di una vita rende meglio percepibile ed identificabile chi avessero di fronte: il Signore Gesù, Signore della Storia che da quel momento in poi sarà rinnovata e caratterizzata dal fenomeno molto strano trasformazione che apporterà nella vita degli Apostoli.                                                                                                               Al pari degli Apostoli anche noi abbiamo la fortuna di aver incontrato Gesù, un incontro che però non dovrebbe limitarsi al solo inizio. Ci è stato fatto un esempio tanto semplice quanto chiaro: il campo del contadino va coltivato ogni giorno, deve essere arato, irrigato, pulito dalle erbacce che ne pregiudicano la crescita fino ad aspettare la nascita della pianticella che in seguito diventerà la madre dei suoi frutti.         Vediamo quindi come per poter aspettarsi qualcosa di buono dalla terra bisogna lavorare intorno ad una idea, ad un progetto che trovi realizzazione nel compimento del proprio dovere. I frutti perciò identificano il raggiungimento dell’ideale postosi fin dall’inizio e per cui si è alacremente lavorato. Questa è la Fede: un qualcosa che è seminato fin dalla nascita ma che l’uomo deve coltivare costantemente se vuole che possa ricevere in futuro i benefici attesi. In tutto ciò Dio, che riveste i panni del contadino e in noi quelli di Padre che è attento alle nostre necessità, è sempre presente in forza del connubio che ha con noi, con tutti gli esseri viventi.                                        E’ in questa prospettiva che va visto l’impegno dei cristiani che, all’occorrenza devono essere sempre pronti a rispondere a ciò che è richiesto al proprio animo.                      Infatti per i cristiani la vita deve essere un susseguirsi di eventi che, indipendentemente dalla loro origine, per trovare giusto adempimento necessitano di essere vissuti completamente in osservanza alle proprie aderenze religiose, visto che parliamo proprio dell’insieme di comandamenti e precetti dettati dalla religione in questione.           In questa ottica si concretizza l’esistenza del cattolico praticante; è con questa modalità che egli partecipa alla storia della società secondo il proprio crisma.         Perché allora non partecipare con gioia ad un simile rinnovamento?        Perché non porre in atto tutto ciò che serve per trasformare la nostra in una vita nuova, caratterizzata dall’appartenenza ad un Credo che formerà la nostra nuova coscienza?          Per la verità le difficoltà che potremmo incontrare in questo caso non è che siano così tanti ma una sola diventa molto eloquente nel momento in cui dobbiamo effettivamente esprimere la nostra volontà per aderire o meno ad una proposta sincera e vera. Un piccolo input ci viene dal racconto dell’incontro tra Gesù ed il capo dei pubblicani, Zaccheo, a lui finora sconosciuto, che alla notizia di una visita che Gesù farà alla sua città si precipita per assistere all’evento. Ma capisce che l’evento in questione non tanto l’arrivo di Gesù in città ma è dato dal fatto che lui stesso in quella data diventa protagonista di un incontro che gli trasformerà la vita, come accade per tutti coloro che hanno il privilegio di incontrarLo. Zaccheo è un esattore di tasse e come tale malvisto dalla cittadinanza, anzi abbastanza odiato, e poi non è alto, per cui farà fatica ad avvicinarsi a Lui ma sarà invece Gesù ad avvicinarsi ed a dirgli senza preamboli che si sarebbe recato a casa sua: Zaccheo è meravigliato e stupito del fatto di come un personaggio così acclamato possa ribassarsi ad uno come lui e addirittura autoinvitarsi a casa.        Evidentemente Zaccheo pecca di quella cosa di cui tutti pecchiamo, chi più e chi meno, quando non vogliamo avvicinarci a Gesù perché riteniamo di non essere all’altezza, cioè non siamo in grado di fronteggiare una visione così genuina, serena e pacata che ci offre serenità sia nei nostri animi che nell’ambito familiare in cui viviamo.           Questo è un dato certo, perché come afferma Papa Francesco noi siamo «figli di Dio, e lo siamo realmente» (1 Gv 3,1): siamo stati creati a sua immagine; Gesù ha fatto sua la nostra umanità e il suo cuore non si staccherà mai da noi; lo Spirito Santo desidera abitare in noi; siamo chiamati alla gioia eterna con Dio!       Questa è la nostra “statura”, questa è la nostra identità spirituale: siamo i figli amati di Dio, sempre. Perciò non accettarsi, vivere scontenti e pensare in negativo significa non riconoscere la nostra identità più vera: è come girarsi dall’altra parte mentre Dio vuole posare il suo sguardo su di me, è voler spegnere il sogno che Egli nutre per me. Affezionarci alla tristezza non è degno della nostra statura spirituale!   Quando Gesù dice a Zaccheo di scendere subito dalla pianta su cui si era posto per poterLo vedere meglio e di andare a casa perché sarebbe subito giunto a casa sua intende comunicargli che Zaccheo deve da subito, immediatamente, stravolgere la propria vita per accogliere la novità, rappresentata da Gesù, che non lo vuole incontrare per la città, come è solito fare, ma nella sua casa, laddove Zaccheo ha i suoi affetti, le sue intimità, le sue risorse. Il significato di tutto ciò è che Gesù vuole abbracciare tutto ciò che è di Zaccheo lì, nella sua casa, perché Gesù vuole entrare nella vita di ogni giorno, nella quotidianità del proprio essere, per entrare in simbiosi con il lavoro e tutto quanto lo mette in relazione con la collettività.    Al pari di Zaccheo anche noi siamo chiamati per nome da Gesù, per permetterGli di poter entrare nella nostra intimità, nella nostra famiglia, nei nostri affetti, nella nostra quotidianità e nonostante la nostra incredulità, Egli continua imperterrito a chiederci di essere ospitato. Molto spesso, se non quasi sempre, noi non siamo pronti a dire di sì, ad accoglierlo tra di noi, a far sì che il Signore entri a far parte di noi. Mostriamo la nostra insicurezza, o peggio ancora la nostra diffidenza nell’aprirci ad un personaggio che anche se forse poco conosciuto, si propone per donarci un qualcosa di fenomenale. Ma qual è il motivo per cui perché ci comportiamo in questo modo così strano ed impensabile?        Perché siamo restii a farci dare una mano da un Tizio che almeno per il momento non riceve nulla in cambio? Forse abbiamo veramente qualche impedimento innaturale che ci blocca ed allora cerchiamo di conoscere quali sono gli ostacoli in questione? Essi sono facili da riscontrare perché consistono in quei frangenti che provengono dalla nostra decisione di non voler assolutamente coinvolgere o farci coinvolgere in cambiamenti radicali che, purtroppo, ancora non riusciamo a comprendere, riescono a trasformare la routine della vita giornaliera in una esaltante esistenza di gioia e felicità.                                                                               Quindi comprendiamo come tutta la nostra vita giri intorno alla personale religiosità, alla spiritualità che ci mette a confronto continuo con la nostra stessa vita e, nel dettaglio, come sia in relazione al personale modo di concepire e quindi di attuare le norme facenti parte del proprio credo religioso.                     Evidentemente, avremo modo di vivere più serenamente ed adeguatamente alle circostanze sociali e storiche se saremo in grado di applicare le conoscenze e le modalità che ci sono state inculcate nella prima fase della nostra vita sia dai genitori che dagli istitutori a tal fine predisposti.   Chi ci dà la certezza di quello che stiamo affermando?                                                                    La risposta è semplice perché come molte volte accade, la troviamo dentro di noi: “è la nostra fede !!”          Quante volte ci capita il momento “no” fatto di incertezza, di dubbio, di pericolo per la nostra stabilità mentale? In particolare tutti coloro che aspirano a realizzarsi nella vita con un qualcosa di importante e grandioso sono sopraffatti da pensieri e attenzioni talmente onerosi o gravi che possono addirittura pregiudicare il normale sviluppo delle attività cui sono preposti.        Quante volte, infatti, quasi da eroi, abbiamo affrontato ed ancora nel presente andiamo ad affrontare eventi difficili da superare senza esserci preparati prima; quante volte ci siamo disposti a risolvere delicate situazioni senza esserci preventivamente e minimamente chiesti o preoccupati di dotarci delle opportune risorse: tutto ciò può avvenire sempre e solamente se abbiamo avuto fede!                                                                                                                                   Quindi, tutto va a dipendere dalla fede!  E l’uomo, tutto preso dalle proprie insidie non riesce a vedere la luce oltre il buio, non riconosce nell’apporto divino quel tanto che basta per prendere le decisioni di maggiore importanza per poter così crescere, svilupparsi e avere successo. Dio infatti ci ha concesso la Fede per poter vivere su questa Terra in armonia, con pace e gioia, aderendo ad uno stile di vita che, in aderenza ai Suoi precetti, rende realizzabili gli scopi che ci si propone durante l’arco della vita.          Per tante persone la fede è un qualcosa di intangibile, di sconosciuto e laddove sia nota resta di difficile trattazione per cui ne lasciano ad altri la valutazione e l’esamina di ogni singolo aspetto che comunque ci riporta ad essa. Se anche noi la pensassimo allo stesso modo significherebbe che nella nostra vita non abbiamo mai posto tra le nostre linee guida i principi di eternità e di felicità propri della nostra religione. Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo in un attimo ciò che duemila anni fa è successo agli Apostoli che ebbero il coraggio di chiedere a Gesù di aumentare la loro fede, in modo che avessero potuto svolgere la propria missione senza alcun limite la propria fedeltà nei suoi riguardi: Gesù rispose loro che la fede non è un semplice regalo, ma è una condizione di vita che, se avvalorata dalla propria convinzione produce effetti sensazionali ed incredibili, tant’è che se loro fossero dotati di una quantità di fede equivalente ad un granello di senape,           potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare» e quello lo farebbe “ (Luca 17,5-10). Questo per affermare che è importante e basilare avere e vivere la fede in modo insindacabile rispetto alle concezioni estemporanee che siamo quotidianamente portati a contemplare: la storia, poi, evidenzierà questo stato di espletamento tanto per identificare e riconoscere inequivocabilmente l’operato a mezzo della fede. Come si nota, quindi, la Fede è un elemento chiave nella identificazione del cristiano e del suo modo di esistere. Ed il modo in cui si esplica ripercorre la stessa osservanza che ci spiega San Paolo quando afferma che la fede:            “è certezza di cose che si sperano, è dimostrazione di cose che non si vedono” (Ebrei 11:1)  Come più volte ha sottolineato anche il Card. Cantalamessa, predicatore ufficiale della Santa Sede, nel suo impegno il cristiano non deve considerare terminato il suo lavoro allorquando perviene a qualche risultato, ma deve costantemente proseguire su quella strada, affinché ogni azione profusa sia indirizzata verso la continuazione del proprio impegno che non termina mai ma dovrà avanti per la realizzazione dell’intero progetto divino.          L’uomo, quindi, deve rinnovarsi sempre e ancora sempre, affinché tutta la Chiesa di Dio diventi un lavoro corrente di innovazione e rimodulazione in vista dell’adeguamento delle proprie risorse ai propri fini.     Osserva il predicatore della Casa Pontificia:                                                                                “Se la vita della Chiesa si fermasse, succederebbe come a un fiume che arriva a uno sbarramento: si trasforma inevitabilmente in un pantano o una palude. Non basta essere rinnovati una volta sola; bisogna rinnovare la stessa novità”.                                                          D’altra parte anche noi assistiamo al continuo trasformarsi delle mentalità che imperversano nel mondo contemporaneo a cui necessariamente deve far fronte pur mantenendo la linea di principio disegnata dalla Parola di Gesù.           Questo sintomo di accertata necessità da parte dell’uomo moderno, di rinnovarsi nella propria evoluzione sociale riflette realmente il bisogno della propria conversione e se rapportiamo questo sintomo a ciò che la stessa Chiesa avverte nelle sue file, allora possiamo arrivare al concetto che la Chiesa deve essere sempre in moto, deve provvedere sempre al proprio adeguamento al fine di riuscire a soddisfare le esigenze di ogni fedele. Potremmo obiettare che si tratta di una nozione semplicistica del tutto      , è vero, ma se partiamo dall’assunto che il principio generatore di tutto ciò è lo Spirito santo, allora non possiamo avere più alcun dubbio. Cantalamessa sostiene che “ogni novità, ogni cambiamento si trova davanti a un bivio; può imboccare due strade opposte: quella del mondo o quella di Dio: la via della morte o la via della vita». Ora, esiste «un mezzo infallibile per imboccare ogni volta la via della vita e della luce: lo Spirito Santo”. Anche gli Apostoli non sono stati immuni dalle indecisioni e dalle problematiche che allora era certamente ben più grandi di quelle odierne, visto che si era al sorgere della dottrina cristiana e che non vi erano ancora le basi per gli approfondimenti. Ma la discussione comunitaria, alloggiata sotto l’influsso dello Spirito Santo, ha delineato non solo le basi ma anche tutto l’iter da seguire per realizzare il disegno di Dio. Gli Atti degli Apostoli mostrano infatti una comunità che «è, passo passo, condotta dallo Spirito. La sua guida si esercita non solo nelle grandi decisioni, ma anche nelle cose di minor conto». Effettivamente non è stato certamente un cammino esente da intoppi, ma le decisioni adottate nel proprio seno dagli Apostoli erano tutte risolte con quelle straordinarie parole iniziali: “È parso bene allo Spirito Santo e a noi”         Per poter analizzare perciò la nostra rispondenza alla realtà in cui viviamo, con tutti gli annessi e connessi, è necessario considerare se veramente abbiamo la fede, se realmente siamo consapevoli di credere con fede, cioè come la viviamo e come la alimentiamo. Ma per poter rispondere a questi interrogativi ed applicare una giusta interpretazione è indispensabile procedere per gradi ed esaminare cosa vuol dire quello che abbiamo appena indicato, individuando i vari livelli di valutazione per cui dobbiamo porci essenzialmente dei quesiti fondamentali attinenti alla Fede e domandarci che cos’è dunque la Fede? Come si acquisisce? Abbiamo fede? Come la viviamo e come la alimentiamo?                                                                      Si tratta di domande a cui non si può dare una “normale” risposta, senza aver maturato un certo percorso fatto di riflessione, acquisizione di informazioni, analisi di dette informazioni, interiorizzazione dell’analisi e, infine, adeguamento della propria vita. Parlare di Fede per un cristiano è indiscutibilmente trattare del rapporto con Dio, del proprio ed intimo rapporto con la spiritualità espressa con riguardo alla concezione cristiana, fedele osservanza dei concetti e delle regole dettate da Gesù con la piena consapevolezza che la vita cristiana “non è fatta di sogni e belle aspirazioni, ma di impegni concreti” per seguire la volontà di Dio e amare davvero chi ci sta accanto, non solo a parole. Gesù infatti pretende una fede reale, che caratterizzi la nostra vita, i nostri atteggiamenti, quindi vuole una fede che tracci il suo solco nella storia di ognuno di noi e di andare al di là di una religione fatta di pratica esteriore e abitudinaria, la fede non è fatta di sogni o di belle aspirazioni, ma di impegni concreti per seguire la volontà di Dio e dimostrare amore verso i fratelli.   Chi si comporta in questo modo vuol dire che si è pentito ed ha cambiato il suo genere di vita, così come Matteo che all’improvviso lascia tutto, lui che era un pubblicano, per seguire Gesù. Eppure Dio è paziente, molto paziente. Ci consente addirittura di sbagliare per aspettare che poi, ravveduti, possiamo ritornare a Lui che, bontà Sua, è più contento che un peccatore ravveduto torni a Lui rispetto ad un fedele normale, perché costui è già fra gli “amici” di Cristo e già facente parte del Regno dei Cieli, ma un uomo convertito è accolto con festosa gioia più di ogni altro.

2 – COS’E’ LA FEDE

Siamo dunque passati a discutere o meglio a considerare l’argomento Fede, termine con cui solitamente si individuano temi e nozioni altamente teologici, filosofici, culturali per cui si necessita parametrare tale concetto a quella che è la nostra disamina cristiana, per cui riteniamo che la Fede, in termine generico, risulta essere “il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono” (Libro degli Ebrei)    cioè una relazione intercorrente tra un soggetto ed un desiderio fortemente voluto, da cui possono derivare tutte le cose belle possibili; una relazione che purtroppo non è visualizzabile. Quindi, non è certamente e solamente il dono per eccellenza fatto dal Creatore, ma è un bisogno estremamente fondamentale per la sussistenza spirituale di ognuno. Ciò vuol dire che non si tratta di un semplice elemento facente parte del credo religioso bensì di un fondamento cui il cristiano si lega per la vita allo scopo di aderire al programma di vita predisposto da Gesù. Vediamo allora che è un qualcosa di vitale per cui bisogna dare a questo fattore la massima importanza e la continua attenzione che merita. La fede è il connubio tra il Creatore e l’uomo, l’insieme delle relazioni intime ed interiori che servono ad accrescere nel rapporto di che trattasi: nella fede l’uomo troverà la rispondenza alle proprie necessità intellettuali e spirituali che si rifletteranno nella sua vita e lo appagheranno in termini non solo personali ma anche sociali.     Aver Fede è quindi credere imprescindibilmente in qualcosa o qualcuno che si presti a fornire le dovute risposte riguardanti l’ignoto che è nell’uomo. Ed è necessario credere, perché vivere senza questa interrelazione vuol dire trascorrere la propria esistenza apaticamente, senza vivo interesse, senza obiettivo che comporti gioia e felicità. Perché dunque bisogna avere fede? Perché vivere senza fede è come procedere senza certezze, andare a tentoni nel buio della vita non potendo far forza su un utile appoggio che ci aiuti ad uscire dalla sofferenza ed il mondo talmente complesso e globalizzato come quello attuale ci presenta più che mai la necessità ed il bisogno di una fede che ci aiuti ad affrontare adeguatamente le difficoltà che incontriamo sulla nostra strada, costellata di enormi buche fatte di problemi, difficoltà, imprevisti ed impossibilità varie. Aver fede vuol dire quindi credere in qualcosa e credere sta a significare che l‘uomo è proiettato sempre a conoscere una determinata cosa, saperla criticare, essere in grado di valutarla e, alla fine, di farla propria, cioè metabolizzarla, introdurla nella propria mentalità e nella propria personalità, diventando tutt’uno con essa e vivere all’insegna di quella cosa.                        Avvertiamo quindi che il credere è un elemento di conoscenza, di apprendimento, un fattore che si impara. E’ emblematico come sia proprio Pietro, primo Apostolo assertore della divinità di Gesù, a non credere in Gesù quando gli ordina di recarsi presso di Lui, scendendo dalla barca ed avviandosi per raggiungerlo, al primo sprofondare in acqua preso dal timore di annegare, chiede al Signore di aiutarlo a non morire: eppure era stato Gesù ad invitarlo ad andare e non avrebbe dovuto avere la minima titubanza ad eseguire l’ordine dato. Pietro non aveva creduto nell’aiuto di Gesù nella sua pronta accoglienza, anche se aveva esplicitamente dichiarata la sua fede in Cristo. Si evidenzia come Pietro non abbia ancora imparato a credere o meglio non sia ancora in grado di valutare quanto valga la potenza del suo Credo in Gesù cioè quanto sia disposto a credere e fidarsi in Gesù.                                                E’ vero che credere vuol dire fidarsi e fidarsi corrisponde anche a rischiare ed oggi, in particolar modo, non si è sempre pronti a mettersi in gioco per cui ognuno tenta di provvedere in proprio alle proprie esigenze.    Ma l’intervento che Gesù si appresta a fare allungando la mano e soccorrere Pietro per riportarlo in salvo dimostra come la Fede incondizionata è ben ripagata in quanto mette al riparo da tutti i problemi e le difficoltà in cui l’uomo si imbatte.                                                                                                                                                     Ma anche in questa circostanza l’uomo è talmente piccolo da sfidare ancor di più la pazienza divina così Pietro chiede al “fantasma” che ha avvistato sull’acqua di mostrarsi e di fare un miracolo (farlo camminare sulle acque…) per poter veramente credere che sia Gesù. Nella realtà anche tutti noi vorremmo che Dio si mostrasse a noi facendo miracoli così da non aver più dubbi sulla sua esistenza, sulla nostra certezza che così facendo diventa stabilizzata e non ci si ponga più il dilemma di cosa fare o non fare. Infatti, Pietro si sente al sicuro solo quando Gesù lo riporta sulla barca, al riparo della tempesta che lo stava facendo sprofondare. La fragilità con cui si è mostrato Pietro è comunque contrapposta dalla pronta protezione che Gesù gli offre, dandogli certezza e sicurezza in quell’aiuto imminente alla richiesta del Suo apostolo. Questa protezione viene offerta ai cristiani all’atto del Battesimo, quando i genitori, propongono con la ricezione al proprio figlio del Santo Battesimo di affidarlo alla Santa Chiesa che, da quel momento lo prende in consegna per inculcargli la forza ed il dominio della Fede.           Ma facciamo attenzione, perché siamo soliti considerare la Fede un grande dono che viene impresso nell’anima del bambino e che diventa il suo scudo di protezione.    Ciò è vero solo in parte perché il bambino quello scudo dovrà saperlo ben tenere e crescendo in età dovrà tener conto che sarà la Sua grande forza che dovrà essere rinforzata con i propri muscoli e che deve porla in bella vista per proteggersi, mentre deve usarla continuamente per controbattere.                                                                                                                                 Allora la Fede non è un “pacco consegnato” col battesimo ma è una dote assegnata che col tempo dovrà essere curata, rinforzata e oculatamente utilizzata. Solo in questo modo l'uomo potrà trarre i frutti buoni dal suo operato, perché riuscirà ad ottenete benefici che allo stato iniziale saranno solo “virtuali” ma col passar del tempo se ne avvertiranno gli affetti, che lo condurranno a livelli di meditazione ancor più superiori e più gratificanti.                                                                                                                                              Tutti gli uomini ricevono questo gradito favore da parte di Dio ma non tutti saranno in grado di gestire simile ricchezza: solo chi presterà ascolto alla voce di Dio ed al richiamo del proprio animo potrà uniformarsi alla volontà di Dio ed ottenere gli auspicati risultati.          Come abbiamo già avuto modo di vedere aver fede, e vivere con fede significa entrare in relazione con Dio, seguirLo, costruire la vita sulla "roccia della sua Parola".          E se l'uomo non vuole e preferisce costruire per facilità e sua contentezza la sua vita "sulla sabbia", Dio non lo costringerà controvoglia, non lo obbligherà a ricevere il dono del Suo Amore. Perciò anche se noi tutti siamo chiamati a ricevere il dono non tutti si presenteranno a ritirarlo: Dio stesso infatti non impone, non obbliga l’uomo, ma vuole che il tutto nasca da una libera scelta, una determinazione che l’uomo deve eseguire in tutta onestà e libertà.          Ancora una volta il Signore ci consente il libero arbitrio. I cristiani affermano sempre che si deve credere in Dio, anche se non si può essere obbligati a farlo ed il motivo è semplice. Credere in Dio, infatti, vuol dire riconoscere che Dio è la roccia che permette alla vita umana di "stare in piedi" (secondo l'etimo-logia ebraica del verbo credere); credere nel Dio di Gesù Cristo significa vivere, pensare, agire, amare la vita… secondo lo stile di Gesù e nessuno può essere obbligato a vivere in una maniera piuttosto che in un'altra: Dio (tanto più la Chiesa) lascia libero ogni uomo di decidere come vivere la sua vita. A tal punto che un uomo può anche vivere male la sua vita. Ma ciò non significa che vivere credendo in Dio o vivere senza credere in Dio sia uguale. Non è di per sé "facoltativo" decidere di credere o no, di "stare in piedi" nella vita, o no. Nella vita bisogna decidere su chi (o su cosa) fondare la propria esistenza, quali legami permettono di esprimere al meglio la grandezza e la fatica dell'essere uomini. E Gesù si è posto nella storia e si propone sempre ad ogni uomo come il modo migliore per vivere la vita umana.         Nessuno può obbligarmi a fare del Dio di Gesù Cristo la roccia affidabile su cui appoggiarmi per vivere la mia vita. Ma una volta riconosciuto in Lui la forza e il legame che mi permette di esistere seguendo la logica "dovrei" vivere da cristiano, cioè secondo il modo con cui Gesù ha vissuto. Dovrei, perché il Magistero ricorda che a Dio "si può resistere", cioè si può decidere di dire di no anche quando lo sia riconosciuto. Appunto perché credere in Dio è questione di scegliere di fondare la propria vita su di Lui e di seguire i suoi insegnamenti come il modo migliore per vivere. Di fronte ad un argomento del genere, quando si parla in pubblico si ha quasi soggezione in chi sta ascoltando, come se si stesse parlando di cose al di fuori di ogni considerazione umana e da ogni schema innovativo e moderno. Talvolta, addirittura la collettività imputa ai soggetti aventi la fede una reputazione fanciullesca, non aderente con la realtà che ha ormai surclassato simili concezioni tradizionalistiche.      Purtroppo dobbiamo capire come il vivere senza alcun riferimento alla Fede, alla Fiducia o alla Credenza sia un modo di vivere disumano, senza scopo e diremmo anche senza intelligenza! Ci si designa come antiquati, arcaici, non modernisti perché crediamo e abbiamo fiducia in qualcosa che non è dimostrabile, verificabile o tangibile eppure quante cose sono effettuate nel corso di una giornata che necessiterebbero di essere verificate e dimostrate, per poter essere considerate importanti per la vita?                                                                                Allora la cosa più importante che si evidenzia – e tra l’altro non è tanto fondamentale - non è affermare che vivere una vita da credente sia sorpassata dal tempo, ma più di tutto dobbiamo rispondere se la nostra credenza o fiducia sia stata veramente ben riposta.  Ma anche accettare, credere ed aver fiducia in ciò che è proposto dalla dottrina cristiana, se non adeguatamente vissuto, cioè se non correttamente applicato al proprio modo di vivere incontrerà la collera di Dio che si ritorcerà contro le nostre azioni, così come sta scritto:                                                                               “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dei e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese di cui state per entrare in possesso passando il Giordano. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe".

Non si tratta di minacce o ritorsioni ma è solo un monito per salvaguardare la possibilità di salvezza che parte dal cuore di Dio per arrivare a quello dell’uomo, ma purtroppo come accade spesso tanti insinuano che la Fede, intesa come insieme di insegnamenti e concetti da prendere a scatola chiusa, priva il credente della sua autonomia, ancorandolo alla necessità di dipendere dal concetto divino e per tutto quello che egli deve fare nella sua vita. Questa affermazione nasconde però un altro concetto, più subdolo, che riguarda la libertà individuale, per cui l‘uomo deve essere lasciato libero di scegliere e optare per qualsiasi forma di la vita e valutare in proprio cosa va bene e cosa invece no: la libertà così intesa rappresenta un bene personale che va esercitato a prescindere da ogni genere di influenza e dipendenza. In definitiva l’uomo può decidere la sua libertà, ma non riconosce o meglio non riesce a comprendere che egli stesso è libertà. Da sempre il cristianesimo ha affermato che obbedire a Dio costituisce la massima espressione della libertà, perché fare quanto Lui dice permette all'uomo di essere veramente sé stesso e fino in fondo.        Anche Gesù ha vissuto questa esperienza: Egli stesso è stato pienamente libero, pienamente Figlio, perché ha compiuto fino in fondo la volontà del Padre, sapendo che questo non era qualcosa di estraneo rispetto alla sua vita, ma ne indicava il senso più pieno. Più obbediva al Padre, più Gesù era libero e più era libero, più Gesù obbediva al Padre! E’ vero che se per Gesù forse era stato più semplice comprendere il messaggio di Dio Padre, per noi comuni mortali non risulta altrettanto facile capire e rapportarci alla Sua Volontà. Ma gli scritti santi ci aiutano ancora una volta a immedesimarci in questo contesto come la prima lettera di Timoteo che racconta:      Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti”.

 Secondo la concezione personale di tanti uomini, infatti, ricorre spesso l’interpretazione secondo cui la Volontà di Dio da applicare alla nostra vita sia una cosa difficile da individuare e anche se si tratta di “programmazioni già stabilite in” ilo tempore” si fa spesso difficoltà a capire o realizzare. Ed allora nasce spontanea la domanda: perché Dio non mi semplifica la narrazione e mi fa capire subito, in modo chiaro e lampante cosa debbo fare e che cosa vuole da me? In tal modo saremmo sicuri di fare presto e bene, e di fare cose non diverse da ciò che ci comanda.       Ma secondo quanto insegna tutta la Scrittura Dio vuole solo una cosa: il bene dell'uomo! La Sua volontà, che non è mai contro il bene dell'uomo perché Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità, si articola bene in questi due momenti:1) la volontà di Dio nella vita di ognuno di noi si scopre "strada facendo": la strada si apre passo dopo passo solo facendo la volontà di Dio per ogni uomo (quanto indicato classicamente nei comandamenti) si scoprirà cosa può significare per ciascuno seguire Dio;                                                                                                             2) La volontà di Dio si mostra a chi è disposto ed è pronto ad accoglierla: è inutile sapere cosa Dio chiede per il bene della propria vita se non si è ancora deciso di "fare la volontà di Dio" e non ci si sta aprendo progressivamente a Dio.                                                   E’ da sottolineare in questo contesto come sia più volte ribadita da una parte di persone non allineate al credo cattolico che vi debba essere assolutamente piena autonomia da parte dei giovani e ancor più dai fanciulli nel gestire la propria fede e la propria credenza rispetto a quanto i genitori impongono ai figli con coercizione.        Ci si lamenta che in una società moderna come quella in cui viviamo non può essere giustificato l’espletamento di un insegnamento che viola la scelta di una persona nell’esercizio di un proprio diritto, come quello di voler o non voler praticare la religione cattolica in base ad un ipotetico senso di fede.                                                                  Si perviene quindi al quesito di tanti che chiedono se è giusto o addirittura lecito educare o impartire la propria fede religiosa ai propri figli, riconoscendo a questa una particolarità personale, esclusivamente interiore, che non può trovare giusta collocazione nell’educazione generale genitoriale.                                                                                                                                                     In questa particolare situazione possiamo fare un distinguo tra quelli che sono i tempi passati e quelli moderni in quanto si sa che nei tempi andati tale tipo di educazione perveniva al bambino, fanciullo o giovane sia mediante la trasmissione di determinati valori cristiani da parte della famiglia che dal mondo circostante.   Col passare del tempo, la rivoluzione concettuale - che ribalta ogni genere di convinzione che provenga da un retaggio arcaico - ha aperto la strada ad un confronto in merito alla necessaria esattezza o correttezza di inveire la sfera spirituale di un essere, ancorché proveniente dalla propria famiglia.                                                Anche in questo caso, quindi, ci troviamo di fronte alla doppia visione: da una parte la famiglia, che ritiene ancora fondamentale trasmettere gli insegnamenti religiosi ai figli, dall’altra, invece, chi afferma che comportarsi in questo modo lede la libertà figliare.    Nella nostra visione cattolica, come sempre, domina l’aspetto liberale per cui la fede religiosa non può assolutamente essere imposta, perché delinea una profondità personale che è e deve essere trattata da tutti gli individui secondo coscienza per cui va rispettato il canone esposto dai non credenti, per cui ognuno dev’essere libero di praticare qualsivoglia religione, nel pieno rispetto dei criteri educativi. Infatti, capita ancora oggi che alcune credenze religiose siano portatrici di tabù per la sussistenza di inadeguatezza ai parametri più moderni e civili. Ma, se da una parte determinate affermazioni ritenute religiose possono generare nel credente un senso di colpa e di peccato, dall’altra parte possiamo certamente annotare come la spiritualità abbia un’influenza positiva sulle persone ad essa dedite, che risultano essere molto più felici e integre a prescindere dal credo; il motivo è costituito da diversi fattori tra i quali la promozione di valori come l’altruismo, il rispetto verso tutti gli esseri viventi, la comprensione. Inoltre, ogni religione tende a far riconoscere il bene da praticare, per ricevere il meglio da quella pratica, così la religione ci aiuta a concentrarci sulla vita e su ciò che ruota intorno ad essa.                                                                            Perciò annotiamo come le persone credenti siano più predisposte ad essere felici e serene, perché in esse vi si trova un elemento fondamentale che non si identifica in altre parti, quell’autostima che sostiene e assiste il credente in ogni suo fare, in ogni movimento, che lo vedrà attore sul palcoscenico della sua vita. In genere si rileva anche maggiore potenza, intellettuale, fisica o psicologica, perché il sistema con cui affrontano la quotidianità rafforza il metabolismo con cui bilanciare le proprie emozioni, le proprie risorse interne e le facoltà con cui operare.                         E’ anche per questo motivo che molte persone riescono perfino a affrontare situazioni estreme come la morte e la malattia, accettando tutto con serenità. Quindi, nel programmare una educazione ai propri figli è necessario che i genitori si attengano a principi semplici e dalla portata di tutti, consentendo loro piena libertà di scelta che, però, rende consapevole di quello che si va a fare, valorizzare e calcolare i possibili effetti conseguenziali, così da potersi assumere le responsabilità di ciò che si decide di fare cioè in definitiva non imporre in alcun modo le proprie convinzioni che, al contrario, potrebbero causare futuri litigi o dissapori è necessario essere vicini a loro in ogni circostanza, che sia di poca o maggiore importanza, affinché non venga mai meno il confronto, la spiegazione e l’appoggio per ciò che si deciderà di fare.           Come si potrà notare, dunque, la Fede caratterizza ed identifica la natura di ogni essere umano, in quanto ne è l’espressione vitalizzante. Essa comporta ogni genere di adeguamento alle emozioni, ai sentimenti ed a tutte le risorse poste in ogni animo e se dovesse verificarsi che in qualche circostanza essa non potrebbe supportarci nel rispondere all’esigenza del momento, certamente porterà ad un orientamento, ad un indirizzo, a degli elementi che comunque ci aiuterebbero ad operare.   Diciamo che avere fede, praticare la fede, vivere di fede vuol dire implicitamente connettere il mistero della resurrezione di Cristo con il proprio essere interiore.    La vita, il lavoro, le relazioni e l’evento - morte sono gli aspetti nei quali si propongono maggiormente i quesiti a cui va data una risposta alla luce della Parola: tali fattori portano ciascuno un genere di esperienza: la morte ci riporta all’infelicità, al dolore, alla solitudine; l’amore invece riporta affetto, amicizia, tenerezza, fedeltà, così come il termine vita infine ci riferisce alla gioia, la speranza, l’ottimismo, la felicità, il sogno. In definitiva la realtà umana si confronta continuamente con la Parola di Dio. Accogliere allora la Fede è accogliere la relazione con Cristo, e relazionarsi con Cristo vuol dire vivere appieno tutti gli istanti della propria vita. L’uomo che accetta questo binomio relazionale si pone in vocazione verso Dio, accetta di proclamarsi seguace e fedele accompagnatore della Parola di Dio e quando questa dote si accomuna con quella di tanti altri essere assegnatari, allora prende corpo l’esperienza comunitaria, cioè quel convitto in cui ognuno, forte del sigillo ricevuto dall’Alto, trasforma il proprio modo di vivere e collettivamente si presta a caratterizzare anche l’assetto sociale.                                                                                    Allora in tal caso la Fede sprona all’evangelizzazione, alla missionarietà, alla testimonianza. Non a caso Papa Francesco tiene a ribadire che:                                                                        “è impossibile credere da soli. La fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del credente, non è rapporto isolato tra l’’io’ del fedele e il ‘Tu’ divino, tra il soggetto autonomo e Dio. Essa si apre, per sua natura, al ‘noi’, avviene sempre all’interno della comunione della Chiesa. La forma dialogata del Credo, usata nella liturgia battesimale, ce lo ricorda. Il credere si esprime come risposta a un invito, ad una parola che deve essere ascoltata e non procede da me, ma si inserisce all’interno di un dialogo, non può essere una mera confessione che nasce dal singolo. È possibile rispondere in prima persona, ‘credo’, solo perché si appartiene a una comunione grande, solo perché si dice anche ‘crediamo’. Questa apertura al ‘noi’ ecclesiale avviene secondo l’apertura propria dell’amore di Dio, che non è solo rapporto tra Padre e Figlio, tra ‘io’ e ‘tu’, ma nello Spirito è anche un ‘noi’, una comunione di persone. Ecco perché chi crede non è mai solo, e perché la fede tende a diffondersi, ad invitare altri alla sua gioia. Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita” (Lumen Fidei, 39).

3 - L’INDAGINE PERSONALE

Partiamo dal presupposto che il concetto che ci potrà aiutare nel riconoscimento del beneficio che ne conseguiremo in seguito è che la Fede è il mezzo con cui l’uomo potrà, con certezza, superare le difficoltà che gli si presentano nella vita e quindi poter dare un vero senso alla propria esistenza.                   Questo concetto può essere associato all’altro, meramente spirituale, secondo cui la Fede vissuta con adesione globale ai precetti cristiani incrementa, se non addirittura sviluppa, il senso di misericordia ed umiltà tale che la vita di ognuno potrà godere di una guida morale e spirituale che adatterà ogni istante della vita del cristiano al ritrovamento del senso proprio.        D’altra parte, chi pratica la fede a tutto campo sa che nulla può senza l’aiuto incondizionato ed infinito di Dio e che, proprio per questo lo invocherà in continuazione per poter beneficiare della misericordia divina.           Dunque come e cosa fare per eseguire una giusta valutazione ed un equo riconoscimento dello stato in cui versa la nostra credenza e la nostra fiducia in Dio?                                                L’attenzione che dobbiamo porre è che ciò che ci stiamo approssimando ad effettuare non è un semplice esame di coscienza, o una piccola revisione del nostro modo di fare rispetto a ciò che è prescritto in materia, bensì di un vero e proprio confronto, per potersi allineare con la volontà del Signore e individuare gli eventuali scostamenti per poter immediatamente correre ai ripari e porre le dovute correzioni.                                                            L’uomo deve pertanto “psicanalizzare il proprio intimo”, cioè mettere la propria anima allo specchio per identificare i suoi lati deficitari, riconoscere quelle proprie azioni che lo allontanano dalla coscienza netta e pulita così come è costruita dalla Fede. L’introspezione di che trattasi vuol dire far riferimento ai propri concetti idealistici che vanno messi al di sopra di qualunque altro principio per saperne valutare l’autenticità e la genuinità, precludendo tutte quelle influenze esterne che continuamente pregiudicano il nostro modo di vivere.                                                                                                                 Prima di andare avanti si rende quindi necessario chiarire il concetto di introspezione, come si esegue, come ci si prepara ed a che cosa deve pervenire. Si tratta di un processo di autovalutazione che partendo da fatti obiettivi mette in evidenza particolari aspetti subconsci della propria natura umana e contribuisce così ad identificare azioni o concetti nocivi per la personalità. Nel semplificare il tutto lo strumento internet cita che l’introspezione altro non è se non…   il procedimento di osservazione dei fatti di coscienza, onde il soggetto, riflettendo sulle sue esperienze, assume sé medesimo a oggetto di studio.

Attraverso questo intervento, quindi, l’uomo DEVE captare i segnali discostanti dalla propria attuale personalità e mettere in campo i correttivi per poter riallinearsi con il cammino programmato per la propria vita.                                                                                                               Tali segnali non sono altre che “prove” cui l’attenzione umana deve sottintendere per destare la propria adesione al progetto di rivoluzione interiore. Si tratta di quelle circostanze che piovano tutti i giorni e che magari classifichiamo come insensate o del tutto insignificanti, ma sono quei fattori che determineranno la fattibilità e la conoscenza che proietteranno verso la verità. Sono segnali che lo stesso Dio Padre ci “trasmette” per aprirci alla Sua connessione, e a noi non resta altro che capire cosa sta accadendo. Del resto è facile intuire cosa si sta verificando, visto che saremo sempre attenti alla via che stiamo conducendo. Il Santo Battesimo che abbiamo ricevuto grazie all’adesione dei nostri genitori, è il primo segnale che sigilla il rapporto con Dio e che regolerà il nostro curriculum vitae.                                          Quindi ogni giorno il credente deve prestare attenzione ai segnali che gli arrivano da Dio attraverso i tanti modi possibili, che possono essere sia positivi che negativi, ovvero consolazioni o ammonimenti, il che rappresenta ancora una volta il sistema con cui Dio Padre vuole rimetterci in carreggiata.                                                                                                                                       Allora, quanti più segnali riceviamo e a cui risponderemo tanti più benefici potremo trarre, quanto più attivi saremo tanto bene otterremo. In questa fase di autovalutazione dobbiamo tenere presente un dato di partenza e cioè che il nostro cervello o meglio la nostra mente in genere tende a dare sempre un senso finito e, quindi compiuto, a tutto ciò che gli si presenta, in modo da filtrare le notizie assimilate e poter allora ridurre al minimo l’affanno della ricerca di una ragione o di una spiegazione che possa identificare il tutto molto semplicemente.                                                       Ciò però non vale nel nostro caso, laddove l’argomento da discutere e da valutare riguarda la propria spiritualità che, come sappiamo, non è affatto un qualcosa costituito da sensazioni e fattori che la mente può agevolmente elaborare. Per questo motivo diciamo che si tratta di una materia certamente di comprensione nettamente superiore a quella mentale. Un ragionamento, abbastanza logico e chiaro ci viene spiegato ne “Il Senso Religioso “di Don Giussani, che parte dalla nozione base per cui ogni cristiano dovrebbe porsi necessariamente in continua analisi per poter affrontare adeguatamente gli eventi che storicamente lo avvinghiano ogni giorno.         Volendo seguire un programma di studio per poter correttamente dar vita alla conoscenza di sé stesso, sarebbe indispensabile seguire un pro memoria di base in cui saper dar ascolto al silenzio e seguire ininterrottamente la strada intrapresa.           Innanzitutto dobbiamo essere consapevoli che ci andiamo ad immettere in un percorso che si presenta sconosciuto per certi versi strano, quasi irreale, ma che diventa talmente profondo nella conoscenza dei valori più intimi che si potessero riscontrare nella psiche umana in tema di religione e che farà maturare quei frutti che daranno ragione del tempo trascorso in questo approfondimento personalizzato.          Per questo motivo ci accorgiamo che va esplorato l’immenso mondo del silenzio, della conoscenza del proprio intimo, dell’analisi delle proprie risorse finora mai veramente considerate. Nel nostro silenzio, fatto di osservazione dei fatti del mondo, della ricerca di ogni singolo aspetto di quanto accade a noi ed al nostro prossimo, dell’osservazione dei misfatti che la società, autolesionista, produce a proprio danno, il Signore ci dona la facoltà di poter riconoscere e quindi di comprendere divenire consapevoli di tutto ciò che ci circonda.        In questa fase inizia il nostro percorso formativo, perché laddove c’è disponibilità ed ascolto si manifesterà la rivelazione del nostro rapporto con Dio e non è cosa facile, visto che l’uomo è abituato ad ogni sorta di rumore, grida, spettacolarizzazione di ogni cosa. Allora inizialmente vedremo che tutte le persone che incontreremo sul nostro cammino sono soggetti che ci interesseranno per un motivo o l’altro, nel senso che sono lì per arricchire la nostra vita forse di qualche elemento a noi mancante, o magari perché rappresentano un fattore evidente che si rifletterà nella nostra spiritualità. E poi accadrà sempre qualcosa, un evento, un incontro, un fatto: anche in questa circostanza va ricercato il nesso che tale fattore ha con il nostro intimo. Notiamo allora come sia evidente che la vita che dobbiamo trascorrere sia un continuo “attenzionare” i fatti che si mostrano in ogni istante della nostra vita ed è per questo che ogni singolo momento della nostra vita deve essere vissuto con pienezza e sapienza in modo da essere consapevole che quell’istante di vita sta apportando un certo livello di ricchezza interiore.                                 Anche quando saremo posti di fronte ai casi negativi della vita, come un dispiacere per un incidente, per un lutto o quant’altro, dobbiamo essere pronti a recepirne la causalità, accettando l’evento in assoluto e predisporci al cambiamento che tale fatto ci comporterà inevitabilmente. In definitiva, se vogliamo veramente dare un calcio alla nostra vita, grigia e senza alcuna motivazione, ed avere la possibilità di risorgere a vita e condizioni nuove, allora dobbiamo rivedere il nostro atteggiamento – personale ed interiore – con l’aspetto divino.                                                                         In realtà il Signore Dio ci manda messaggio di continuo ed è così che ci parla e presta la Sua infinita Misericordia nella speranza che l’uomo cessi di vivere secondo la ragione e si voti invece al sentimento ed al cuore. Quando il cristiano inizia l’avventura in questione non sa da dove partire e dove arrivare, perché fin dal primo passo non ha un obiettivo da raggiungere perché ignaro di ciò che l’aspetta, inoltre si sta avventurando verso il mistero, ovvero in un contesto che comporta disagio perché quello è un qualcosa in cui non può prevalere la mente e la ragione, non può immergersi nella solita vicenda quotidiana.                                                                                                                                                Per questo possiamo dire che la fede del cristiano lo spinge ad affrontare un cammino particolare ma l’ha reso già coraggioso per aver fatto un deciso salto nel vuoto e questa circostanza va meditata sempre, perché costituisce il primo grande risultato ottenuto, quello della decisione e il coraggio di movimentare l’universo che è in lui. Questo risultato dà ampio spazio alla coscienza che diventa per il cristiano la fonte giornaliera delle meditazioni e delle riflessioni che aggiornano continuamente il proprio livello di forza, che amplia sempre di più quel bagaglio di informazioni necessarie a predisporsi sempre di più al contatto con Dio.     Come si nota, questo genere di procedura non fa altro che rafforzare di continuo il legame che è stato stretto con Dio e, quindi, riesce a “programmare” l’affidamento a Dio mediante il discernimento cui egli si sottopone. Il cristiano accoglie il mistero come fondamento della sua esistenza, nella fede sceglie di affidarsi totalmente a Dio, riconosce nell'incontro con Gesù la radice della propria fede. Ma sa anche che si tratta di un incontro originale e speciale, diverso da tutti gli altri incontri che punteggiano il ritmo quotidiano della nostra esistenza. Allora vivere di fede alla fine diventa un rischio ed una scommessa. Una lettura di fede della realtà rappresenta sempre il coraggio di abbandonare il proprio egoismo e la propria presunzione nell'abbraccio di Dio. Vivere nella fede non è quindi solo accettare qualcosa, ma accettare Qualcuno, rinunciare ad abitare noi stessi in un geloso possesso, per lasciarci abitare da Dio.       Per affrontare dunque una analitica verifica sul nostro senso religioso, profondità che porta alla conoscenza del nostro rapporto con Dio, dobbiamo porre l’attenzione su un punto fondamentale e cioè che per arrivare alla conclusione bisogna osservare molto e ragionare poco, occorre perciò avere un atteggiamento serio e rigoroso basato sul sano realismo della verifica che condurremo. Il dottore della Chiesa Sant’Agostino affermava: “Io cerco per sapere, non per pensarlo”, quasi come controtendenza a ciò che invece l’uomo è portato ad effettuare oggi, cioè se iniziamo a pensare una determinata cosa la nostra mente porterà ad inventare e quindi a costruire una corrispondente concezione, che comunque sarà influenzata certamente da fattori esterni che avremo introitati dall’esterno perché siamo portati a proiettare nel nostro intimo tutto ciò che ci “prende” come attenzione o considerazione, dal mondo esterno. Notiamo come allora il nostro essere debba totalmente immergersi nella realtà circostante, assorbendo tutta la vita che lo circonda, estrapolare le considerazioni ritenute giuste e valide per il proprio animo e riversarle nel proprio patrimonio conoscitivo.    Tutto ciò determina una esperienza globale che si può definire certamente sentimento e, visto che noi ci stiamo interessando di una tematica religiosa, definiremo il tutto come “esperienza vitale religiosa         A cosa ci porta l’introspezione!! Davanti a noi si aprono mondi nuovi e limiti senza confini: la nostra mente diventa uno spazio immenso, colmo di novità e di risorse per il nostro inconscio. Quel personaggio illustre di nome Socrate fu il primo a comprendere l’esigenza di una introspezione personale che ponesse le basi delle proprie meditazioni nella psiche umana, con particolare riguardo all’anima. Infatti, l’uomo raccoglie i propri pensieri, ripensa alle proprie sensazioni ed emozioni e le filtra mediante l’esperienza e la conoscenza acquisita.       Questo per sottolineare come quel cammino, corrispondente alla valutazione della propria fede, possa riuscire a modificare il proprio modo di fare e di adeguarsi alla volontà divina.                                                   Posto ciò come premessa è necessario che l’uomo possa eseguire la propria introspezione al fine di poter adeguatamente condurre il proprio esame di coscienza, per valutare come egli sia posizionato rispetto alla propria fede perché la valutazione finale del proprio “io” conduce alla realizzazione di un discernimento serio e faceto che, specie nel campo religioso, libera da tutte le false aspettative che la società esterna propina o maschera velatamente per sviare l’attenzione.                                         Papa Francesco definisce il discernimento come       “il desiderio di nostalgia di pienezza che non trova mai pieno esaudimento, ed è il segno della presenza di Dio in noi”. Il discernimento, quindi, è l’aiuto a captare i segnali grazie ai quali il Signore si vuole incontrare con noi attraverso persone, situazioni o altro, che al momento per noi risulterebbero difficili da identificare e che, invece, da loro potrebbe cambiare il nostro modo di vivere ed il nostro stesso destino.                                                                               Oggi più che mai il discernimento è necessario per poter affrontare le diverse problematiche che sono presentate dalla realtà moderna, per cui senza un valido strumento di conoscenza ci trasformerebbe in burattini sottoposti alle mode del momento. Col discernimento l’uomo sarà sempre in grado di capire e di riconoscere i tempi di Dio e della sua Grazia.   Come ci si educa al discernimento?                                 Grazie all’introspezione precedentemente eseguita, l’uomo sarà a conoscenza di principi, valori e dettagli grazie ai quali poter affrontare ogni difficoltà o semplici situazioni caratterizzate da fatalità oppositrici. E sulla base di tali fondamenti, egli potrà eseguire piccoli passi quotidiani fatti di adesioni e di meditazioni.                                           Come abbiamo modo di osservare, questo genere di studio consta in un'acquisizione che si amplia nel tempo prescindendo dalle nostre comuni conoscenze professionali, scientifiche o economiche, perciò è rivolto a tutti gli uomini di qualsiasi ceto sociale.         Ed i risultati che arriveranno, quindi, non saranno altro che il risultato della qualità delle meditazioni, riflessioni e valutazioni che saranno state prodotte nel tempo. E se l’introspezione di cui tanto parliamo sarà stata eseguita sulla base di una ispirazione che abbiamo ricevuto, allora il discernimento che ne verrà diventerà condizione essenziale per accostarsi a una nuova ragione.                 Per poter iniziare questo lavoro interiore ci affideremo a quelle che sono le premesse per l’esecuzione, cioè ai parametri spiegati o comunque indicati da illustri personaggi che con la Fede ci sono andati a braccetto per tutto l’arco della propria esistenza.        Senza volerci allontanare nel tempo possiamo inquadrare le valutazioni in un conteso recente e per avvicinarci ai nostri tempi ricorreremo a Papa Benedetto XVI dal quale possiamo attingere tutto ciò che ci è necessario per quanto dobbiamo fare, basti riflettere che cosa sia la Fede e come si giunga a credere. Infatti, egli afferma che                                                                                                                                                  “per un verso la fede è un contatto profondamente personale con Dio, che mi tocca nel mio tessuto più intimo e mi mette di fronte al Dio vivente in assoluta immediatezza in modo cioè che io possa parlargli, amarlo ed entrare in comunione con lui. Ma al tempo stesso questa realtà massimamente personale ha inseparabilmente a che fare con la comunità: fa parte dell’essenza della fede il fatto di introdurmi nel noi dei figli di Dio, nella comunità peregrinante dei fratelli e delle sorelle”. Per poterci mettere in contatto col nostro intimo e scandagliare l’inconscio spirituale che ci portiamo dentro - visto che la Fede non è un qualcosa di personale ma proviene dal confronto con chi ci pone al centro dell’interesse - San Paolo ci aiuta a comprendere come sia necessario e fondamentale dare ascolto a qualcuno.           Per noi poveri mortali certamente risulta essere un po’ problematico poter procedere ad una disamina del genere se non siamo intelligenti o comunque abbastanza competenti per poter valutare ciò che mettiamo in discussione, anche perché trattandosi di una materia non alla portata di tutti, non per tutti è semplice saper eseguire un’approfondita analisi si sé stesso per poter poi valutare quello che ne è scaturito.         Bisogna proseguire con cautela e per fasi e quindi è necessario comprendere cosa è la fede, per la quale sono stati usati e sono ancora utilizzati termini di vario genere, a seconda che si tratti di una considerazione teologica, psicologica, sociale o altro; e poi, come essa nasce, si sviluppa, si alimenta, come si perde e, alla fine, cosa fare per riacquistarla e riportarla agli inizi… e come sempre, noi procediamo nella direzione religiosa e/o spirituale.     Secondo il concetto ebraico esposto nell’Antico Testamento la Fede può corrispondere al binomio di due termini: FEDELTA’ e FIDUCIA, che nel loro lessico comportano due diversi aspetti nel senso che: si ha fede solo quando nel rapporto con qualcuno si è eseguita una verifica con esito positivo e che la prova ottenuta può dimostrare la Fedeltà e la Lealtà, per cui si ha la sicurezza di poter procedere senza alcuna riserva nei confronti di ciò che è stato posto in esame.         Ma se il soggetto che si vuole porre sotto esame è Gesù allora diventa necessario rapportarsi a Lui in modo da potersi conformare a quanto Lui stesso ci ha chiesto di fare visto che dal Suo operato abbiamo visto tante cose meravigliose per cui ogni cosa si andrà a fare un nome Suo risulta corrispondente alla massima fiducia in quello che si fa: solo così l’uomo potrà dimostrare di essere rimasto fedele ai Suoi insegnamenti ed aver evidenziato le proprie lealtà mediante opere ed azioni che lo glorifichino. Come si può diventare fedele o fiduciosi in Dio?        Abbiamo accennato che aver fede vuol dire mettere in azione la propria personalità, in modo inequivocabile, per aderire alla volontà di Dio e cioè fare tutte quelle cose che sono state richieste per portare e fare del bene. In tal modo si “costruisce” una struttura comportamentale tale che continui ed incrementi la forza nel tempo, consolidandosi con la stessa disponibilità che Gesù offre a chi si impegna.           Dunque, si instaura una relazione a due sensi in cui il praticante offre la propria attività e Gesù la Sua protezione, mantenendo quindi il patto di fiducia l’uno nell’altro e per intraprendere il sentiero della Fede che porterà a questa relazione basterà solo incamminarsi per la strada della conoscenza e del rispetto – incondizionato - della Legge di Dio, cioè i Comandamenti.                                                                              Di contro, la Fede che si vuole dimostrare con la propria vita non caratterizzata da opere di carità e di beneficenza, inquadra un genere di Fede morta a sé stessa perché svuotata nella sua vitalità. Dunque il concetto di Fede è al centro di ogni altra considerazione e di ogni valutazione avente carattere religioso e per poter pervenire ad un simile obiettivo, allo scopo di poter condurre una giusta introspezione personale, faremo un percorso all’incontrario, partendo cioè dalla base per poter alla fine costruire le basi su cui fondare la concezione vera e propria di Fede. Trattare l’argomento Fede richiede una capacità unica e straordinaria, perché occorre prestare una visione complessiva di tutto ciò che rientra nei nostri interessi e che raggruppano sia ciò che si vede che tutto quanto non è alla portata dei nostri occhi. si vede.      Ciò vuol dire che le nostre conoscenze non possono esimersi dal considerare strumenti come scienza e sapienza ma la cosa più importante è che ci senta pronti per affrontare un lungo viaggio nell’ignoto per poter adeguatamente contemplare il grande mistero. Senza questa immersione nel profondo ci ritroviamo solo confusi nei meandri degli avvenimenti che ci avvolgono e ci premono quotidianamente. Tanto per iniziare, diremo che una corretta esamina per una idonea valutazione di un determinato evento deve essere scevro di influenze esterne, cioè non deve essere succube a parametri, pregiudizi, concezioni e quant’altro che molto spesso sono forniti da un terzo soggetto che in tal modo rende praticamente viziata la procedura di valutazione.                                                                                                                     Dunque, tale procedimento non deve avvenire dal contesto in cui ci si trova, si vive o si lavora, ma dal proprio di dentro, dal proprio animo. Solo facendo in questo modo si avrà la certezza che il risultato sarà netto, pulito da ogni sollecitazione esterna e, perciò altamente affidabile nel risultato.           Procediamo a vedere come ci si analizza, e come e quando si deve mettere in esame il proprio modo di fare.                                       Il credente che vuole vivere l’esperienza della vera fede in un modo o nell’altro ne sarà a conoscenza di queste prerogative perciò lo sa e cerca di perseguire le modalità per giungere a questa esperienza, divenendo quindi una persona capace di «leggere dentro» la vita quotidiana: diventerà cioè un «contemplativo».                                                                          Ci si accorge di questo stato di cose quando ci si immette nel processo iniziale della disamina che poi porterà alla “sublimazione” finale, cioè quando incontriamo l'evento di Dio nelle particolarità della nostra vita quotidiana. Abbiamo compreso come l’uomo debba necessariamente vivere una propria esperienza globale se vuole ottenere risultati soddisfacenti provenienti da quell’indagine personale cui deve dedicarsi continuamente per attingere dalla storia tutto ciò che gli serve per costruirsi una propria identità interiore.     Tale esperienza, ovviamente, per recare beneficio alla sua personalità deve pervenire ad un proprio giudizio per ogni singola esperienza introitata e metabolizzata. Ciò sta a significare che per ogni concetto elaborato mediante la propria esperienza l’uomo diventa consapevole di quanto è accaduto, nel senso che potrà rispondere con le proprie motivazioni agli stimoli provocati in modo adeguato e circostanziato. Come si potrà giungere ad un corretto criterio di valutazione? Purtroppo qui non abbiamo scelta: l’unico parametro a nostra disposizione per poter condurre una giusta riflessione che ci porterà in seguito un giudizio sereno e pacifico è la nostra umanità, cioè quel senso vitale che ci è stato donato al momento della nostra creazione e, quindi, un riscontro con la presenza di Dio.  Per essere dunque liberi da ogni manomissione “esterna” che possa alterare il nostro pensiero ed il nostro atteggiamento dobbiamo imparare a saper confrontare tutto ciò che assumiamo dall’esterno con quello che siamo riusciti a comprendere della nostra costituzione religiosa personale. Così perseverando l’uomo potrà giungere a quello che Don Giussani definisce il “locus”, cioè il termine ultimo dell’indagine personale, cioè la coscienza o consapevolezza che l’uomo ha della propria esistenza. Una introspezione così condotta porta inevitabilmente l’uomo ad esprimersi serenamente senza riserve, ed in modo particolare, dal punto di vista religioso attiverà tutte le proprie risorse per manifestare in modo genuino e semplice il proprio credo.

4 – VIVERE LA FEDE

                                                                                                 

Abbiamo già accennato al concetto che la Fede non è donata, ma è “attribuita” in forza di un legame che vincola Dio all’Uomo.Infatti ci è sempre stato detto che la Fede è donata da Dio ma non si tratta di un vero e proprio regalo, ma di una “consegna” di un bene di inestimabile valore che mostra la sua validità nel tempo e che non diminuisce di intensità, ma varia sempre a seconda di come la si vive.                                                 Mostrarsi fedele ai privilegi ottenuti da Dio vuol dire comportarsi nella vita adeguandosi ai precetti comandati. In termini molto semplici vuol dire vivere secondo quanto ci ha comandato Gesù disponendo la nostra anima alla Sua volontà in cambio ci è offerta una vita fatta di amore e misericordia grazie alle quali troveremo sostentamento per le nostre necessità. Già nel Battesimo, che è il primo sacramento che l’uomo riceve per dichiarare la propria appartenenza a Gesù, si allaccia il rapporto personalizzato con Gesù.                    Da questo momento in poi (ovviamente a cura dei genitori che opereranno sul figlio come mandanti di Cristo), l’educazione che sarà disposta riguarderà l’insegnamento di tutti i valori ed i concetti impartiti dalla dottrina cristiana. Il bambino così crescerà in un contesto fatto non solo di amore e affetto dei propri familiari ma anche di appartenenza a Gesù, che sarà sempre al fianco suo e di ogni creatura di cui avverte il bisogno o la necessità di un Suo intervento.       Man mano che si cresce le necessità aumentano, non solo di quantità ma anche di qualità. L’uomo, infatti, è accerchiato dalle pressanti sollecitazioni imposte dalla società circostante per cui molto spesso si trova a combattere i propri fantasmi, costituiti dalle continue paure e difficoltà che gli attraversano la strada.                                       Mai come in questa fase è necessario non far venire meno quella certezza che Gesù ha concesso proprio per queste evenienze e mai come adesso l’uomo deve valorizzare ciò che ha ricevuto per aiutarsi da solo in seguito i risultati gli daranno ragione. D’altra parte è lo stesso Gesù che descrive le meraviglie che può combinare l’aver fede:                        “Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Matteo 17:20)                            

Per ottenere questi risultati, per avere Fede, bisogna che l’uomo sia sempre in stretta relazione con Gesù Cristo: non a caso, infatti, tutto ciò che è stato esplicato nella Bibbia sia stato riportato con Fede.     Abbiamo anche accennato perché si debba vivere la fede affinché ci si presti sempre attenti al volere di Cristo; quindi per poter adeguatamente rispondere è fondamentale costruire una solida relazione con Dio, quindi conoscerLo, capire cosa Egli chiede, cosa vuole che si faccia.                                                  L’immaterialità con cui l’uomo avrà di fronte è un possibile problema di “comunicazione” ma la certezza di essere esaudito gli dona la tranquillità di un ascolto che gli infonderà sempre più conoscenza ed appartenenza.                                                                                                                                 Nel momento in cui l’uomo avvertirà il contatto nel proprio intimo col Signore, potrà chiedere ed ottenere ciò di cui abbisogna, purché sia fatto con Fede. Non sempre ciò avverrà, oppure nei tempi richiesti ma si sa che tempi e modalità di Dio non sono quelli nostri, non corrispondono alle misure terrene, l’importante è aspettare, credere e sperare che otterrà il risultato sperato ed alla fine vedrà che la sua Fede gli ha consegnato la cosa più bella possibile che potesse ottenere: il credere nell’infinito amore misericordioso di Gesù.          Ogni essere umano durante il percorso della vita incontrerà sempre avventure caratterizzate da prove che lo metteranno in crisi perché forse non era preparato ad affrontare situazioni nuove, impreviste o comunque difficili. Quindi, senza una adeguata preparazione di base, costituita da certezze delle fondamenta del suo credere per il proprio sviluppo, l’uomo non avrà vita facile. Qui avvertiamo la “presenza” di Dio che mediante l’azione dello Spirito Santo interviene nel mondo concreto offrendo la propria collaborazione per fornire all’uomo le opportunità per reagire con fermezza e convinzione, risolvendo serenamente le difficoltà del caso.         Questa è la forza della fede che ci trasmette Dio!         Come si nota, la Fede proveniente da Dio agisce su un qualcosa di concreto e reale e noi dobbiamo avere a portata di mano proprio quel qualcosa su cui Dio dovrà lavorare: la nostra fiducia nel Suo operato e nell’assoluta certezza che il risultato che ne deriverà sarà solamente positivo. Cosa deve quindi spingere l’uomo affinché abbia tale e tanta certezza? Innanzitutto credere infinitamente in Dio, nella Sua immensa misericordia grazie alla quale realizza la propria volontà di aiutarci, seguono poi l’osservanza ai Comandamenti, nonché i Suoi suggerimenti emessi a mezzo dello Spirito Santo e poi… agire, consapevoli di avere una ricchezza spirituale immensa, grazie alla quale poter convenientemente realizzare le proprie aspettative.   Una cosa molto importante da sottolineare è che in ogni agire con fede il cristiano è vincolato ad una cosa senza la quale renderebbe vana ogni sua azione: deve mostrare fede con la sua vita ed il proprio esempio, senza i quali non otterrà alcun risultato, in quanto non farà combaciare la sua credenza di fede con l’atteggiamento cristiano assunto nella realtà, cioè non sarà stato in grado di testimoniare la fede con il suo vissuto. Ciò è necessario perché ogni qualvolta l’uomo sarà in grado di mettere in luce la sua fede otterrà un esito esaltante, grazie all’azione divina dello Spirito Santo inviato da Dio. Allora, ogni necessità, ogni richiesta di aiuto invocato dal cristiano pieno di fede troverà soluzioni che possono sembrare del tutto inaspettate ed incomprensibili. E’ utile apprendere dal quel simpatico e famoso internauta che è Frà Stefano le notizie che qui seguono e che sviscerano tutto ciò che a che fare con lo Spirito Santo. Interrogato su come si comportano i credenti quando gli si parla di Spirito Santo, egli risponde che molti credenti non sanno cosa significa essere cristiani, non saprebbero nemmeno dire che differenza c’è tra essere cristiani o non esserlo.     Se consideriamo che lo Spirito Santo è la cosa più importante nella vita dei credenti ci dovremmo aspettare di sentirne parlare spesso. E invece la maggior parte dei cristiani va in chiesa settimana dopo settimana anno dopo anno e non ha mai ascoltato una singola predica dedicata allo Spirito Santo e al modo in cui opera nella nostra vita.           E poi ci domandiamo come mai non riusciamo a pregare, come mai non abbiamo la forza di fare la cosa giusta, come mai non abbiamo il coraggio di vivere nella verità e come mai non riusciamo a fare progressi nella vita spirituale. Diventa quindi semplice comprendere come non possiamo servire Dio in modo adeguato se non riusciamo dapprima a capire come lo Spirito Santo agisce in noi e, di conseguenza, non potremo mai comprendere la verità della parola di Dio senza la presenza dello Spirito Santo”.     Per questo motivo è indispensabile comprendere ed approfondire la conoscenza dello Spirito Santo. Ci sono molte cose che tutti devono sapere e che bisogna dire perché individuano le modalità con cui opera lo Spirito Santo nella nostra vita dei credenti.  Per esempio già San Paolo nella lettera ai Galati, implora:”                                                                                                                                           

Camminate secondo lo spirito e non ad adempiere i desideri della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari allo carne”.        

Notiamo come si tratta di fattori contrapposti che pregiudicano ogni genere di decisione l’uomo debba prendere per cui si è effettivamente nella pericolosità di dover effettuare cose che non riflettono realmente ciò che si deve fare, causando danno non solo a noi stessi ma anche agli altri.    Ovviamente il termine “carne” si rapporta non in termine corporale, ma a tutto ciò che si verifica all’esterno della nostra persona, del tipo contatti, passioni e piaceri che, si sa, molto spesso se non proprio sempre sono esattamente in contrasto con quanto ci è stato dettato dalle leggi divine.           Per eliminare questo inconveniente ci è d’aiuto la forza amorosa dello Spirito Santo a cui ci si può rivolgere come facciamo del resto con Gesù Cristo o con Dio Padre. Non va dimenticato che, infatti, lo Spirito Santo è la terza persona della Santissima Trinità (nota bene: Persona!) e quindi, in grado di ascoltare, considerare e agire nei confronti di chi lo invoca. Questo grande elemento trinitario ci è stato promesso da Gesù all’atto della Sua partenza da questo mondo:                                                                                                       “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo spirito di verità. Lo Spirito Santo che il Padre invierà comanderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.”                    L’azione dello Spirito Santo ha natura fondamentale nella vita di ogni credente e per valutarne le qualità bisogna capire che si parla di qualcuno che il Padre e Figlio hanno mandato a noi, perché da soli noi non potremmo mai riuscire a realizzare la missione che ci hanno affidato. Ecco perché Gesù lo definisce il consolatore (detto Grequantico nella lingua originale) ovvero Paraclito, cioè una persona che ha la funzione di aiutarci, di consolarci. Talvolta Egli viene denominato Difensore in quanto si presenta per tutelarci nel momento in cui il nemico ci accusa dei nostri peccati, oppure si infiltra nei nostri pensieri per denigrare il Signore Dio accusandolo delle malattie e delle morti che acconsente.                                                                                                                                              Ma la funzione più importante che Gli è stata conferita è quella di ricordarci delle “lezioni” che ci ha impartito Gesù durante la sua prima venuta. In base a tali ricordi noi saremo messi in grado di poter reagire, perché l’aiuto prestato ci permetterà di capire cosa dire, cosa fare, come interpretare la realtà che ci sta davanti.                                                   Quante volte, infatti ci è capitato di avvertire durante la giornata, di trovarci in qualche situazione particolare in cui ci sembrava di essere impossibilitati a muoverci ma all’improvviso ci è risuonata nella mente qualche parola, qualche frase proveniente dal Vangelo o dalle parabole di Gesù, perfettamente aderenti alla circostanza, che ci hanno consentito di poter affrontare una determinata situazione imbarazzante e trovare giusta soluzione grazie a quella vocina proveniente dalla mente o dal cuore; c’è chi parla di sesto senso, chi di pura sensazione personale.                 Nulla di più errato: E’ LA VOCE DELLO SPIRITO SANTO, una voce riservata, silenziosa, moderata, che rimbalza in mente fino a quando riesce a bucare l’impasse in cui ci trovavamo e realizza la reazione.           Quindi, grazie all’intervento dello Spirito Santo saremo in grado di lavorare su di noi, ottenendo benefici ineguagliabili ed imponderabili. Ma le azioni cui è stato predestinato lo Spirito Santo non sono solamente queste. E’ lo stesso Gesù che lo afferma:                                                                                                                                                 “Quando il consolatore sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”.           Ciò vuol dire che sono stati affidati allo Spirito Santo tanti e diversi compiti specifici necessari ad aiutarci, consolare e difendere. Quando Egli abita in noi, noi rinasciamo come figli di Dio ed è per questo che quando ci rivolgiamo a Lui lo chiamiamo Padre.    Il riconoscere nel silenzio della nostra anima la voce dello Spirito Santo diventa il primo passo, quello più importante e fondamentale, per entrare in simbiosi e diventare tutt’uno con Lui, per proseguire nella realtà quotidiana convivendo e condividendo azioni e pensieri della giornata. Può sembrare semplicistico fare una simile affermazione ma quando si è in stretta relazione con una persona si può identificarne la presenza o la voce anche senza vederla, e così lo stesso accade con lo spirito santo, noi possiamo riconoscere la sua voce tra le altre voci che sono trasmesse alla nostra mente, ma ciò include il possesso di facoltà spirituali innate ed una buona dose di familiarità con Lui.                                                                              Allora più cresciamo nella familiarità con la voce dello Spirito Santo più per noi diventerà sempre più facile riconoscerlo anche nei momenti difficili. Inoltre, più noi sapremo ascoltarLo ed affidarci alla sua guida più ci elargirà i suoi doni, ovvero i carismi che potranno essere il linguaggio della sapienza, della scienza, della fede, il dono di fare guarigioni, il potere dei miracoli, o della profezia.      Ma tutte queste cose è l'unico e medesimo spirito che le opera. Questi sono alcuni dei doni stupendi che lo spirito vuole donarci se solo noi li vogliamo accogliere. Perfino Gesù risorto quando appare davanti agli apostoli gli chiede di stare fermi, di non cominciare la loro missione, perché non ne sarebbero stati capaci, perché la loro testimonianza, che non nasceva dallo Spirito Santo sarebbe solo una testimonianza umana e non è questo ciò di cui le persone hanno bisogno, le persone hanno bisogno di parole che siano spirito e vita.     Lo Spirito Santo che era già presente in tempi remoti con la venuta di Gesù si è rigenerato, in quanto scendendo nella vita di ogni credente vi rimane per tutta la vita come un sigillo che “segna” la Sua presenza nella vita dell’uomo e vi resta per tutto il giorno, per tutti i giorni della sua vita. Nella realtà, quindi, l’uomo dovrebbe comprendere che non può esserci per lui un momento di preoccupazione, perché in lui abita ed ha posto la propria dimora lo Spirito Santo e come tale ogni difficoltà va affrontata e risolta facendolo intervenire in aiuto.                      Ci sono così tante persone che, autogiudicatesi incapaci di reagire e di controbattere agli ostacoli che ha di fronte, ritengono impossibile poter andare avanti e allora, preferiscono abbandonare la strada maestra, convinti che quel sigillo che è stato impresso nel proprio intimo non sarà in grado di risolvere nulla. Ma è chiaro che non è così perché quel sigillo non proviene dalla terra ma è un dono fatto da Dio Padre. Questo dono deve segnare sempre di più nel credente quale è la sua posizione rispetto al proprio atteggiamento durante la vita quotidiana. Infatti non di rado capita che ci si lamenta della propria peccaminosità dovuta alla natura umana, che ci sottrae da quella spirituale relegandoci in continui strati di frustrazione e di prostrazione in cui perseverano angosce e disperazioni per i peccati commessi.                   Ci si dimentica, in questo caso, che quel sigillo regalatoci da Dio, che ci ricorda di essere Suoi figli, serve proprio a queste delicate fasi della nostra vita: va ricordato che essendo Suoi figli non possiamo in alcun modo affossare nella disperazione ma di risollevarci affidandoci allo Spirito Santo che ci guiderà a riemergere dall’oscurità e ritrovare la luce della vita. Va ricordato, una volta e per sempre che Egli è Colui che ci dà forza, ci accompagna nelle avventure che dobbiamo intraprendere, Colui che ci sostiene e ci dà la spinta per combattere le avversità che abbiamo di fronte.           Ed allo stesso modo, se dobbiamo effettuare qualche cosa, non dobbiamo far conto su di noi soli, ma di affidarci a Lui che cin insegnerà cosa fare, come fare, cioè seguire quella voce che dal nostro intimo sale verso la mente per ideare e fare.              Potremmo fare di tutto, fare grandi cose e diventare grandi personaggi, ma se non siamo in collegamento con lo Spirito di Dio, difficilmente riusciremmo a realizzare qualcosa di buono. Solo quando riusciremo a vivere nello spirito saremo autenticamente cristiani; al contrario, senza consapevolezza e spirito anche il cristianesimo diventa una ulteriore ideologia come tante altre.     Quindi, l’unica cosa da fare è proseguire nel percorso della vita camminando a braccetto con lo Spirito Santo cioè pregarLo ed invocarLo, ma con fiducia e abbandono ed Egli, che è già in noi, provvederà alle nostre necessità. In questo modo ci mostreremo mansueti e docili ai suoi consigli, alle direzioni che ci invita a prendere per giungere all’obiettivo voluto: fare ed ottenere del bene. Comportandoci in questo modo non facciamo altro che il volere di Dio, quello di un Padre che per i propri figli cerca solo il massimo del bene: rinunciare a tutto ciò, disubbidendo ai Suoi consigli, pertanto, si perderanno i legami principali con l’Assoluto, con la misteriosa forza trainante della nostra vita e, di conseguenza, con quei carismi che dovrebbero poi diventare comuni doti di ogni credente.        Allora, alle tante volte che ci poniamo la domanda se stiamo pregando bene, se ci stiamo comportando bene, se stiamo facendo la volontà del Signore, visto che nella realtà non riscontriamo nulla di favorevole, niente di appagante o comunque di positivo per noi, riusciamo a dare una buona risposta adeguata.           Personalmente mi è capitato che qualche volta in cui mentre prendevo parte alla fila di fedeli per accostarmi alla mensa dell’altare per assumere la Santa Comunione mi sono chiesto se tutti noi effettivamente e realmente fossimo consapevoli dell’atto che stavamo per compiere e se eravamo in grado di riconoscere l’importanza di ciò che stavamo approssimando a fare, se partecipavamo con decoro, con intimità e rispetto. In genere mi tengo alla larga da commenti e giudizi ma è purtroppo notorio statisticamente che la maggior parte dei cattolici non pratica gli insegnamenti morali della Chiesa né vive in modo da mostrare alcuna apprezzabile differenza rispetto a coloro che vivono nella presente cultura secolare per cui sorge spontanea la domanda se sia normale ed accettabile partecipare a momenti di elevata considerazione liturgica in modo non altrettanto consono o consapevole.                                   “È necessario risvegliare nei credenti una piena relazione con Cristo. Solo una personale relazione con Cristo può permettere lo sviluppo di un’evangelizzazione efficace “(San Giov. Paolo II)    

C’è qualcuno che addirittura espone un proprio concetto di rappresentazione della fede che pratica, ovvero crede in Gesù Cristo perché con Lui ha un rapporto particolare che non è lo stesso con cui dovrebbe intercalarsi con le altre realtà religiose, cattoliche, spirituali o che dir si voglia. Come dire: Gesù mi sta bene, tutto il resto è discutibile. Evidentemente abbiamo una visione alquanto distorta della spiritualità, una opinione del tutto squilibrata: perché si dimentica che nella Fede l’essere umano è tutto coinvolto con la propria intelligenza, la propria libertà ma anche con le sue origini divine, per cui l’atto di praticare la Fede non dovrebbe ma DEVE essere il moto con cui azionare la nostra ragione per ricercare, stimolare ed alimentare il rapporto globale con Dio. Tertulliano affermava che:                                                                                                                                    “Le vie per “raggiungere” la fede possono essere le più diverse, perché, «cristiani non si nasce, ma si diventa»                 La verità, invece, sta in ben altre domande, del genere: “sono in linea con l’azione dello Spirito Santo? Mi trovo veramente in sintonia con i livelli superiori della spiritualità in cui tutto ciò che è mondano, terreno e materialistico scompare per far posto alla luce che ci viene dall’alto”? Perché se così non fosse, potremmo trascorrere mille anni ancora a pregare incessantemente in tal modo ma senza ottenere nulla di bello o di buono, perché non si pone in essere quell’unione e quella relazione spirituale in cui si mostrano i segni evidenti della vera preghiera. La fede cristiana deve cambiare radicalmente noi e la nostra vita, deve trasformarci portandoci dalla morte alla vita, dirigere le nostre anime verso una verità che dona vita, permetterci di partecipare alla vita di Dio stesso, farci conoscere Dio intimamente ed amare come Lui ama, farci vivere e agire come Suoi figli, che realmente siamo. Quanto ci allarmiamo per non aver ottenuto la risposta alle nostre invocazioni! Il mancato ottenimento di tale benevolo risultato sta nel fatto che stiamo facendo leva più sulle nostre forze che sull’affidamento a Dio.           Questo schieramento egoistico esula dalla cognizione di quanto sia pacifico ed importante ascoltare la voce dello Spirito Santo che, come già ben sappiamo, non vuole che noi cadiamo nell’ignoranza e nella falsa ideologia né tantomeno vuole che agissimo da schiavi nei confronti di un Padre padrone.                                         E’ per questo motivo che dobbiamo fare ciò che ci dice perché così facendo possiamo in definitiva comprendere quello che è la cosa migliore da fare. Ed allora occorre muoversi ed agire secondo le aspettative che tale forza ci chiede.                                              Se consideriamo che i nostri concetti si sviluppano secondo un progetto da realizzare, converremmo che tale progetto non identifica solo ciò che si deve fare ma anche in che modo bisogna farlo affinché si possa realizzarlo: ne deduciamo quindi che se la mente concepisce, la stessa mente concretizza nella realtà ciò che si è posto di fare.     Nel nostro ambito, se la nostra idea è quella di pregare, cioè metterci in relazione con Dio, la nostra mente farà in modo che quel canale di collegamento si realizzi secondo le modalità proprie della spiritualità così come prevista e dettata. Nel dettaglio, se decidessimo di non volerci dedicare ai vizi dissoluti, nemici acerrimi del bene, dobbiamo far sì che lo Spirito Santo non ci abbandoni, ci tenga preservati da simili attacchi ed allora noteremo ed otterremo quei frutti che ne scaturiranno da questo atteggiamento cristiano: gioia, serenità e pace caratterizzeranno la vita di ognuno. In questo caso ci viene d’aiuto proprio San Pietro che ci invita ad essere attenti e vigilanti affinché una volta postoci nella mente il bene desiderato ci dobbiamo comportare in modo inequivocabile affinché il Signore ci conceda la Grazia invocata.     Allora prendiamo posizione; lasciamo che le nostre preghiere provenienti dal profondo del nostro cuore siamo permeate dalla carità divina, siano orientate ad essere plasmate dalla mano di Dio.

5 - PER UNA VERA FEDE

Suor Lorenzina Colosi, nota studiosa e catecheta di prim’ordine, responsabile dell’Ufficio Catechistico della Diocesi di Roma a cui ha impresso grande impulso per diversi anni, raccontava che nel 1975 era pervenuto alle Parrocchie l’invito per un seminario di studio sulla catechesi degli adulti tenuto dal docente Wim Saris da Amsterdam.   Ovviamente tutti si domandavano come mai fare riferimento ad un olandese e poi, Roma e Amsterdam erano così lontane e così diverse, e poi, come fare ad impostare una catechesi degli adulti se questi non vogliono sentire nulla?                                                        Queste ed altre domande furono rivolte ai responsabili del centro per l’evangelizzazione. Furono invitate ed accettate 32 persone tra parroci, laici e suore.                    Contrariamente agli interrogativi postisi ed alla programmazione delle attività attese, ci fu tutta una sorpresa così che per tre giorni con immagini e grafici, si trasformò il normale sistema di incontri cui si era abituati ad assistere e sullo schema della teologia di S. Tommaso fu riproposta una serrata sintesi della fede cristiana.                Poi la proposta:” Ora divisi in gruppi, per tre giorni, dovrete provare a costruire un progetto di catechesi per la vostra parrocchia”. Ragionandoci un po' su e volendo fare un raffronto con i tempi attuali oggi mi viene da chiedermi se non ravvisiamo in queste attività una similitudine con ciò che si sta compiendo oggi con il Sinodo in corso?      Di fronte a quel sistema così innovativo i partecipanti al seminario volevano disdire la propria permanenza e voler far ritorno a casa convinto che era troppo arduo iniziare un discorso diretto agli adulti. La catechesi degli adulti non deve essere indirizzata solo all’intelletto, ma alla vita intera dell’uomo, al suo «credere».                  Quindi non occorrono corsi dottrinali né scuole di religione, ma la riflessione che parte dal di dentro dalla Parola di Dio e dalla Dottrina della Chiesa, cioè non si necessita dell’informazione ma di una esperienza di fede. Non basta conoscere il cristianesimo, ma è necessario «essere cristiani».     Necessita partire dalle proprie domande della vita per realizzare un cammino di fede in cui adulti e catechisti interagendo tra loro si mettano alla ricerca di quei valori di fede e di vita che Dio ci comunica e che diventano motivazione del comportamento. La catechesi è camminare con gli altri verso Dio. Ognuno ha la propria esperienza di Dio, ma l’esperienza degli altri, nella Chiesa, dà una esperienza più completa di Dio. Di Fede non si parla, si vive! Si vive attraverso i sacramenti che caratterizzano e consacrano le esperienze intime ed interiori della nostra vita. Gesù è venuto tra noi per costruire la nostra personale storia della salvezza, una storia giornaliera vissuta momento per momento, nella famiglia. Noi genitori quindi, dobbiamo ricercare l’Aiuto ed essere illuminati ogni giorno con la fede in Cristo. Inoltre, la verità deve essere condivisa e convissuta e la famiglia deve essere il luogo in cui apportare questa esperienza perché è il luogo privilegiato della catechesi. Ragionando sul filo di questo concetto, si delinea un prototipo di catechista» che non va definito come maestro ma un battezzato che è in continuo cammino di fede e di conversione, che non impone formule, ma presenta l’esperienza di fede illuminata dalla dottrina della chiesa, che è attenta a scoprire e rilevare i valori della vita. Questo tipo di catechista sa che non tutti gli adulti sono all’inizio del cammino di fede e che anche quelli emarginati sono ricchi di particolari valori, per cui resta attenzionato ad ogni genere di pensiero che interpreta i suoi valori della vita, del lavoro, della sofferenza, della cura ai figli che semmai non l’apprezzano, per cui riesce a stare con gli altri in tutti i momenti tristi e lieti della vita divenendo lui stesso testimone della verità. L’inizio della catechesi nasce da questi presupposti e si basa ad alcune linee fondamentali: il contenuto del Regno di Dio è l’insieme di piccole storie di ogni uomo; con la coscienza globale dei fatti si arriva a Dio. Quindi abbiamo necessità di una catechesi meditativa, profonda; Dio è il primo educatore in ogni uomo: in me e nell’altro. La catechesi è il cammino dalla realtà vissuta alle sue profonde motivazioni, cioè al Cristo. Basando queste certezze nella propria realtà, nella programmazione catechetica di Suor Lorenzina nacquero cinque progetti di catechesi per «genitori con bambini da battezzare», per genitori dei comunicandi, per genitori dei cresimandi, per gruppi giovanili, per giovani coppie che si preparano a ricevere il sacramento del matrimonio, tutti imperniati su schemi semplici, che si possono sempre proporre e sperimentare in tutte le parrocchie con evidente soddisfazione da parte degli operatori pastorali che si potranno dedicare a questa nuova esperienza.

6 – LA PREGHIERA ALIMENTA LA FEDE

A fine anno, generalmente, in occasione delle festività natalizie si è soliti fare un bilancio dell’anno trascorso, sia in termini sociali che personali, evidenziando così ciò che si è fatto e ricevuto di buono dalla sorte nel corso dell’anno, e come ci si è adeguati a tale circostanza. In tale contesto non esulano gli obiettivi e le priorità che ci diamo da perseguire per il prossimo anno, con l’augurio di essere sempre coerenti con noi stessi per raggiungere proprio tali scopi. E’ in questa fase di rivalutazione che dobbiamo certamente inserire anche una ulteriore operazione: il ripensamento e la rideterminazione del nostro essere cristiani rispetto ad una realtà che purtroppo ci è sfuggita di mano e ci ha allontanato sempre di più dal vero senso di vita. E’ in questo momento, quindi, che possiamo pensare ad affrontare un nuovo percorso di vita, per migliorare o, se vogliamo, per ritornare al nostro vero essere noi stessi, riscoprendo le meraviglie e le bellezze della fede andata smarrita e che oggi, puntualmente, ci si ripresenta per essere apportatrice di gioia e serenità. Se durante la giovinezza la presenza di Dio, forse anche perché presentata e ripresentata con forza dai genitori, è più forte e sentita, nel corso della crescita intellettiva ogni essere affronta vicissitudini che ne mettono a dura prova l’entità e la perseveranza, per cui resta difficile gustare nel lungo tempo la vicinanza ai sacramenti, alle celebrazioni ed ai riti cristiani, ed i periodi caratterizzati da tali dubbi ed incertezze provocano una lenta e graduale sfiducia in Dio, dal quale ci si discosta e ci si allontana visto che Egli non ci ha sufficientemente protetto dagli eventuali eventi che hanno causato un grave pregiudizio. Le crepe di una seppur minima sfiducia con l’andar del tempo genera un crollo della nostra fede che, ricordiamo ancora una volta, non è fissa, ma in costante e duratura progressione evolutiva e la sua dinamicità provoca un fallimento totale se essa non è opportunamente rivitalizzata, coltivata e rimodulata secondo la nostra stessa evoluzione culturale e sociale.                                                                                                                       Cosa fare allora per ritrovare la fede?                                           

Di per sé non esiste una ricetta generale, in quanto trattandosi di un fattore personalizzato, ognuno dovrebbe cercare dentro di sé, le cose o gli elementi ostativi, ripercorrere cioè un percorso inverso per determinare ciò che può essere di intralcio al normale sviluppo delle facoltà interiori di ogni singola persona. Ma a chiunque si chieda, dovunque ci si possa rivolgere per chiedere aiuto in tal senso la risposta, univoca e certa che ci sarà data è sempre la stessa: pregare! Oggi è indispensabile pregare perché con essa entriamo in un mondo nuovo, misterioso, buio, in cui l'unica cosa che dobbiamo fare è riconoscere la voce di Dio che ci chiama a sé. A volte siamo così restii a farlo perché insieme alla voce di Dio da quel mondo misterioso in cui ci porta la preghiera, riemergono anche altre cose, semmai fatti ed eventi che ci hanno fatto male in passato e che oggi sono diventati i nostri fantasmi in virtù dei quali forse proprio per questo non riusciamo o non vogliamo pregare, cioè abbiamo timore di riconnetterci a quel passato che comunque di tanto in tanto ritorna a vivere nella nostra memoria.              La preghiera resta l'unico sostegno spirituale, è l'unico argine al nostro egoismo materiale per canalizzare l'adesione a Dio.                 Come un atleta che non si allena e segue costantemente la propria disciplina non otterrà i risultati validi per la propria carriera agonistica così il cristiano che non segue costantemente il suo rapporto con Dio ne pregiudica la validità e quindi non trarrà mai dei buoni risultati. Quante volte siamo portati a gettare la spugna perché riconoscendo i propri limiti non vogliamo essere pronti a continuare il dialogo con Dio, forse perché non troviamo la risposta giusta ai nostri quesiti, coadiuvate da forme di preghiera abbastanza leggere. Quante volte anche davanti al tabernacolo poniamo in essere veri e propri discorsi o ragionamenti con il desiderio che il Signore apra la porticina dove è collocato e risponda ai nostri interrogativi. Questa prassi è del tutto fallimentare perché Dio per rispondere ai nostri bisogni necessita di essere invocato, pregato. lodato e naturalmente glorificato. In ciò il fedele mostra la sua riverenza al Signore, in cui si rifugge, affida e confida.                                                                           Allora cosa dobbiamo fare affinché la nostra preghiera sia solo e realmente una preghiera? Abbiamo a disposizione una sola: è necessario innanzitutto far ritorno al buio della nostra anima, perché in quel luogo il nostro occhio interiore inizia ad intravedere spiragli di luce la illuminano a poco a poco lo illuminano e gli fanno riconoscere cose che fino allora erano ancora sconosciute. Quindi abbiamo da un lato il buio misterioso del nostro intimo, dall'altra l'immensità della luce che risveglia le nostre più recondite esperienze, le trasforma e le rimette nel circuito della nostra vita. Cosa possiamo intravedere tra le due parti, affinché il buio possa adeguatamente e progressivamente portare la luce, cioè quella chiarezza ai nostri misteri al fine di poter vivere secondo pace e serenità? Quel qualcosa si chiama Cristo, cioè Colui che trasforma il buio in un'esperienza di luce, una luce avvicinabile che non acceca e che è sopportabile. Sì, la preghiera ci mette in diretto contatto con Dio al quale chiedere, supplicare, invocare per ogni nostra necessità e Dio che è sempre presente ed attento ad ogni richiesta avanzata dai suoi fedeli, non farà mancare il suo determinante apporto.           Cosa è la preghiera, a cosa serve, perché dobbiamo pregare? Sono semplici domande che attendono risposte molto impegnative, perché in esse è racchiuso il compendio della credenza religiosa o, se vogliamo, i crismi della Fede. Innanzitutto, cosa è la preghiera?          Se poniamo la domanda all’uomo della strada, cioè colui che non ha tanta dimestichezza con la formazione cristiana, sentiremmo rispondere che si tratta di dire l’Ave Maria, o il Padre Nostro o qualche altra giaculatoria insegnata ai tempi della propria fanciullezza. Altri potrebbero ravvedere nella preghiera una forma di raccomandazione alla pietà divina, una sorta di amuleto contro avversità della vita, ecc. ecc. Invece, il Catechismo prodotto dalla Chiesa Cattolica, fa della preghiera uno strumento di diversa natura: un dono che Dio ci ha concesso per permetterci di relazionarci in qualsiasi istante con Lui, per metterci in comunione con Lui. La preghiera è il canale attraverso il quale noi comunichiamo con Dio. Riprendendo il nesso con la matrice puramente figliare con Dio Padre, infatti, nella preghiera riusciamo ad identificare il momento in cui siamo affiancati da Dio per affrontare le fragilità che incontriamo, ma non nella visione prospettica di “raccomandazione” ma di raffronto continuo con la realtà che ci circonda.          La preghiera è lo strumento grazie al quale il nostro corpo si dota della corazza e delle armi per andare in guerra per combattere le avversità rappresentate dalle tentazioni offerte dal nemico che, sempre subdolamente ed ingegnosamente, circuisce il fedele nella speranza di distoglierlo dal contatto con Dio per avvicinarlo alle proprie lusinghe. E proprio perché essa è di vitale importanza, la preghiera deve avere la peculiarità di essere sentita, meditata e poi invocata, deve cioè esprimere tutta la propria certezza di Fede. Quindi, quando si prega bisogna comprendere che ci mettiamo di fronte ad un impegno serio e che pertanto deve rispondere a criteri di sentimento e di attenzione.         Effettivamente non esiste una tecnica per essere attenti quando si prega, cioè non vi è un metodo per imparare a restare in contemplazione durante le orazioni. Dall’altra parte la stessa ricerca della perfezione nella preghiera può diventare anche elemento di distrazione in se per sé e quindi causa di delusione o scoraggiamento che può provocare addirittura l’abbandono della preghiera in quanto “incapaci di perfezionarsi”.                                                                                                                                          Cosa fare allora di fronte alla umana e comprensibile caducità della nostra mente?     Potremmo rispondere con una sola considerazione: Dio è Amore, è comprensione e tenerezza, per cui comprende benissimo il nostro stato d’animo e cosa sta partorendo la nostra mente in ordine al problema che si è posto.    E la Sua soluzione al caso è semplice: non chiede la continua ed ossessionante contemplazione verso di Lui ma vuole che quel contatto così stabilito, nella fragilità e nella disattenzione continui sempre perché così ottemperando riusciremo a rinforzarci e rivitalizzarci prima in noi stessi e poi nella preghiera.                                                                                                                                                              A cosa serve pregare?      Nelle righe sopra riportate abbiamo accennato alla richiesta che Dio ci fa: prega e rimaniamo in comunione. Cosa vuol dire? Essere in comunione con Dio sta a significare che la nostra vita diventa un tutt’uno con il Signore. Non avremo alto da fare se non alla luce degli insegnamenti di Dio, per perseguire la Sua volontà, compiere tutti gli atti che caratterizzeranno la nostra giornata per magnificare la Sua gloria. Nel catechismo di vecchia dataci veniva impartito che Dio ci ha creati per amarlo, osservarlo e riverirlo in ogni istante. A distanza di tanti anni noi riprendiamo questo fondamento catechetico e lo ampliamo. Tradotto in parole povere, Dio ci ha creati perché riconoscessimo la Sua magnificenza, la Sua grandezza e, consapevoli di tutto questo, potessimo agire nell’interesse divino, per arrivare al Suo cuore e beneficiare dei Suoi illimitati doni.        Dio non ci ha creati perché aveva bisogno di sostenitori o di tifosi che lo avrebbero dovuto osannare per un fatto puramente egoistico.              Nella Sua grande bontà paterna, invece, Dio ha plasmato l’uomo a Sua immagine, relegandolo a Suo simbolo sulla Terra, sulla quale deve consolidare la propria Fede per adorarlo e glorificarlo per l’Amore e la carità concessa.        In tutto questo, come si nota, l’unico filo conduttore presente è costituito dal sentimento che Egli prova, incessantemente, per l’uomo.                   Pregare, dunque, è parlare con Dio Padre, al quale rimettiamo ciò che sentiamo nell’anima e nel cuore; è l’insieme dei sentimenti che gli propiniamo per esternargli il nostro reciproco amore che presentiamo in cambio di quanto Egli ci concede per tutta la nostra vita. Papa Francesco ci dice che la preghiera:

” soprattutto, è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il cuore di Dio, una chiave facile perché il cuore di Dio non è blindato, tu puoi aprirlo con una chiave comune, con la preghiera”. La preghiera è la più grande forza della Chiesa, che non dobbiamo mai lasciare”. Dunque, pregate sempre! E che i centri di preghiera diventino “centrali di misericordia, sempre aperte e attive”. “Siate sempre apostoli gioiosi della preghiera!”, perché, ha assicurato, “la preghiera fa miracoli”.       La preghiera dunque è l’arma più potente del cristiano: ha il potere di cambiare il corso della storia, e persino di disporre il cuore di Dio. Quando il Signore, pieno di tristezza, decise di distruggere le città di Sodoma e Gomorra, Abramo Lo pregò per queste due città e riuscì a salvare suo nipote Lot e la sua famiglia.                                                                                                             Il suo cuore soffriva nel vedere i giusti distrutti con un popolo malvagio (Genesi 18:23-33).  Sicuramente il cuore di Dio sarà stato profondamente impietosito per quel Suo figlio, in piedi, in preghiera, per queste due città. A ogni proposta che Abramo faceva Dio accettava e continuava     ad ascoltarlo, pazientemente.  Ma la preghiera è anche intimità, è assoluta riservatezza di un colloquio con Dio.                                               “Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.” (Matteo 6:6) Perché dobbiamo pregare? La creazione dell’uomo non è un fatto isolato. L’evento storico con cui Dio ha caratterizzato il Creato non è stato solamente un fatto di circostanza. La presenza dell’uomo prima, e della donna in un secondo momento, rappresenta il significato che Dio stesso ha voluto dare alla Creazione: la presenza di colui che deve dare testimonianza della grandezza di Dio, della Sua smisurata voglia di fare e dare il bene all’uomo. Pregare, dunque, diventa quindi un obbligo dell’uomo per ringraziare di quanto ha ricevuto da Dio Padre nella Creazione e quanto ancora riceve ogni qualvolta che ottiene “la risposta” ai suoi interrogativi, oppure alle sue richieste di protezione o di necessità.                                         E’ una disobbligazione all’Amore ricevuto. Proprio perché si tratta di un argomento molto “intimo” la preghiera richiede una sola caratteristica: dovrebbe essere recitata molto realisticamente con devozione, cioè non lasciare spazio a fronzoli e spettacolarizzazioni, basta ritirarsi in modo appartato, e nel profondo del proprio cuore “lanciare” le proprie offerte, invocazioni fatte da gioie e dolori, richieste di incoraggiamento e di sopportazione, di aiuto e di sostegno.                                                                                                       Ci sono così tante persone dalle quali si sente dire che pregano sempre come pure tanti altri che affermano di pregare da così tanto tempo e con tanto di forniture di fiori e offerte varie ma non ottengono mai niente; mi verrebbe da chiedere come hanno pregato, e cosa hanno chiesto in quella preghiera? Sarò forse ripetitivo ma purtroppo in mente mi suonano sempre le famose parole che Gesù Cristo ha lasciato nelle nostre memorie per cui di tanto in tanto fanno capolino:                                                                  “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”. Quindi, se preghiamo e non riceviamo alcun segno di carità vuol dire che qualcosa non ha funzionato o forse non tutto è stato eseguito secondo i previsti canoni. Qui non si tratta di richiedere un piacere ed aspettare che nel giro di qualche minuto lo possiamo ricevere: se il Signore ha ascoltato e vorrà disporre per esaudire la richiesta pervenuta accadrà nei tempi e nei modi che Egli ha stabilito.    Il punto centrale del perché pregare sta proprio in questo: oltre a tenere costante il nostro rapporto con Dio Padre, pregando abbiamo la possibilità di ottenere da Lui la forza e il sostegno per risolvere tanti problemi che da soli, chiusi nel nostro perfetto egoismo, non potremo mai sciogliere.     La preghiera non è certamente la panacea delle nostre problematiche ma diventa senz’altro il fondamento su cui poggiare le certezze che Dio ci offre per costruire il nostro rapporto con Lui. Il valore della preghiera sta nel ricercare un incontro con Dio, senza valutare a priori ciò che si potrebbe ricevere: diventa un reale e necessario bisogno della nostra anima di relazionarsi a Dio e, secondo quanto ci viene detto dagli studiosi in materia, il fatto stesso che avvertiamo il bisogno di cui sopra è da mettere in relazione all’iniziativa che Dio ci dona visto che è proprio Lui che realizza le condizioni che ci immettono nello stato di necessità. Grazie alla preghiera, il nostro cuore riesce meglio a placarsi al Suo cospetto, a contemplare la Sua parola, a cercare la Sua volontà e a stabilire un rapporto normale con Lui. Ma nella vita, poiché siamo indaffarati con il lavoro o con le faccende domestiche, spesso ci limitiamo a muovere solo le labbra, quando preghiamo, e ci limitiamo a trattare Dio con superficialità dicendo qualche parola distratta.           La Bibbia dice:        “Appressatevi a Dio, ed Egli si appresserà a voi” (Giacomo 4:8).        In quanto cristiani, soltanto avvicinandoci ed avendo con Dio Padre una reale interazione possiamo mantenere un rapporto normale con Lui e ottenere l’opera dello Spirito Santo. È proprio come nel caso di due persone che si frequentano, che possono mantenere a lungo il loro stretto rapporto solo aprendosi di più l’una all’altra, comunicando di più di fronte alle difficoltà e comprendendosi e rispettandosi a vicenda. Quando ci si sente soli o disprezzati dalle follie del mondo esterno non c’è nulla di meglio che mettersi in preghiera, da cui ricaveremo una sensazione di benessere interiore accompagnato da un approfondimento mentale che conduce all’estraniarsi dal frastuono circostante.                     “Iddio è spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Giov. 4:24) Dio è il Creatore.      Egli scruta tutta la terra ed è sempre al nostro fianco, per osservare le nostre parole, azioni, ed idee.                                                                                                                   Quando ci si mette in preghiera dobbiamo porci su un livello intellettuale elevato, perché andando a contemplare in uno stato subliminale, ci si immette in un genere di atteggiamento completamente diverso, si va a comportarsi in un modo quasi soprannaturale visto che procediamo ad adorare una “entità” spirituale, quindi non visibile agli occhi umani ma presente solo al cuore ed alla nostra anima e continuiamo nella nostra interessenza non facendo altro che glorificarLo, cioè arrivare al Suo cospetto col cuore in mano, parlarGli con sincerità e porre ai Suoi piedi le nostre difficoltà e sofferenze e dobbiamo cercare la Sua volontà e il percorso di pratica, perché solo così le preghiere si conformeranno al volere di Dio.Alexis Carrel, medico e biologo premio Nobel per la medicina nel 1912 nel libro “La Preghiera” conferma la necessità umana, spirituale e fisiologica di pregare perché “Con l’esercizio e la costanza nel pregare l’uomo stesso fiorisce nella sua personalità; si producono in lui cambiamenti e atteggiamenti che lo fortificano e lo sollevano al di sopra delle proprie capacità. Perciò non dobbiamo vedere la preghiera come un atto ai quale si affidano solo i deboli di spirito, i mendicanti, o i vigliacchi.                                             L’uomo ha bisogno di Dio come ha bisogno di acqua e di ossigeno”. E poi…          “La preghiera è sempre seguita da un risultato, se è fatta in condizioni convenienti”. Nella nostra corrente mentalità si prega perché abbiamo aderito ad una data concezione religiosa, ma sappiamo bene che non è proprio così. Effettivamente non sappiamo quali siano gli effetti che possono scaturire dal pregare sano e appassionato, forse perché si è spinti dalla nozione che si prega meno in quanto non c’è una corrispondente beneficio scaturente da quell’atto di sottomissione, quasi come se ci fosse dato un ultimatum e così avviene che quei lenti sibili pronunciati dalle nostre labbra per invocare Dio e per chiederGli aiuto vengono soffocati dai rumori circostanti provenienti dalle difficoltà del mondo, dalle stranezze in cui imperversa il nostro essere, dalle sollecitazioni che ci tentano in ogni dove. In genere i credenti attribuiscono al valore della preghiera la forza salvifica che scaturisce per soddisfare qualche personale necessità; vista da questo punto di vista dovremmo dar ragione invece ai non credenti che interpretano questo concetto come un qualcosa che necessita essenzialmente di pregare, perché farlo per tali motivi non serve ad affrontare realmente gli stati di bisogno e di necessità in cui si versa.                                                                                            Ma se come credenti affermiamo che la preghiera è sinonimo di prosecuzione verso il bene e verso l’amore, per i non credenti (per i quali la preghiera è solo demandare ad altri o ad altro la propria preoccupazione del momento, una sorta di scaricabarile di concetti), essa può diventare soltanto la risultanza di una umanizzazione comprensibile e persino condivisibile, ma nulla di più.                                                                        Ora se esaminiamo ciò che accade in quei luoghi o anche presso quei gruppi di persone che, facendo forza sull’abitudine imposta dai propri anziani della famiglia, hanno ancora conservato le usanze di pregare secondo determinate modalità oggi se ne possono studiare le influenze apportatrici del benessere dovuto alla preghiera.       La preghiera agisce sullo spirito e sul corpo in un modo che sembra dipendere dalla sua qualità, dalla sua intensità, dalla sua frequenza. È facile conoscere qual è la frequenza della preghiera e, in una certa misura, la sua intensità.      La sua qualità, invece, resta sconosciuta, perché noi non abbiamo il mezzo di misurare la Fede e la capacità di amore degli altri. Tuttavia, il modo di vivere, e quindi l’atteggiamento che assume colui che prega in tutta la vita, può illuminarci sulla qualità delle invocazioni che egli innalza a Dio. La preghiera, perfino quando è di debole valore e consista soprattutto nella recitazione semplicistica di formule, per essere comunque efficace dovrebbe sempre esercitare un effetto anche sulla condotta di vita visto che essa fortifica nello stesso tempo il senso sacro e il senso morale. Gli ambienti in cui si prega sono caratterizzati da una certa persistenza del senso del dovere e della responsabilità, da una minor gelosia e malvagità, da qualche bontà nei rapporti col prossimo. Inoltre, sembra dimostrato che, a parità di sviluppo intellettuale, il carattere e il valore morale sono più elevati negli individui che pregano, anche in modo mediocre, che in quelli che non pregano. Ancora oggi, negli ambienti in cui si prega, si parla molto spesso di guarigioni ottenute per effetto di invocazioni a Dio o ai suoi Santi. Ma quando si tratta di malattie suscettibili di guarigione spontanea o mediante ausilio delle cure ordinarie, è difficile sapere quale sia stato il reale agente della guarigione. Solo nei casi nei quali qualsiasi terapia risulti inapplicabile i risultati della preghiera possono essere sicuramente constatati.           Sono gli effetti curativi della preghiera che, in tutte le epoche, hanno principalmente attirato l’attenzione degli uomini e perché questi fenomeni si producano, non c’è bisogno che debba necessariamente pregare il diretto interessato, in questo caso il malato.     Bambini ed anziani, incapaci di parlare o di pregare o addirittura persone non credenti sono state guarite in tante parti del mondo come anche è accaduto nel centro religioso mariano più importante al mondo e cioè Lourdes. Ciò sta a significare che se proprio non hanno eseguito di persona le proprie invocazioni, al loro posto hanno provveduto altri soggetti o intere comunità. La preghiera fatta per altri in questi casi è più feconda di quella fatta per sé stessi e dall’intensità e dalla qualità sembra dipenda l’effetto della preghiera. A Lourdes per esempio, i miracoli sono molto meno frequenti di quanto lo fossero stati decenni fa. Non è che siano cambiati i tempi ma può darsi che i malati o chi li supporta nelle preghiere e nelle invocazioni non vi trovano più l’atmosfera di profondo raccoglimento che vi regnava un tempo e nello stesso tempo i pellegrini sono divenuti allegri turisti che visitano i luoghi miracolosi al posto di porsi in meditazione o preghiera. Quindi anche le preghiere hanno e devono avere un proprio valore intrinseco grazie al quale valutare se è stato proprio grazie ad esse che si è ottenuto un determinato risultato.                                                 D’altra parte come tante volte è stato citato nel passato, frà Evagrio Pontico (IV sec.) rappresentava sempre che a nessuno è stato mai comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente, ma la preghiera, invece, è sempre stato un obbligo, perché la preghiera incessante è una legge per noi.          L’esortazione che un altro santo, San Giovanni Crisostomo ci ha lasciato recita nel seguente modo:   “anche al mercato o durante una passeggiata solitaria è possibile fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate, ma è necessario che quando lo si fa si esegua il tutto meditando e rivolgendo il cuore al Signore».                                                      Qualcuno potrebbe dire che è facile parlare in questo modo quando non si hanno impegni di alcun genere, né lavori o incarichi che affatichino e che comunque tendano a occupare il tempo a sé stessi o alla famiglia; è semplice per chi non attende ad impegni seri o gravosi potersi impegnare in questo genere di esercizio.                                      Ma ciò ci fa riflettere come Dio Padre, seppur preso da tanto fare, non ci lasci mai soli e aspetta che fossimo proprio noi a lanciare il grido di aiuto per consentirgli di prestarci il Suo immediato intervento. Il Signore è lì, presente, infatti, ed attende - per così dire - che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Quando non si fa sentire o abbiamo il sentore che ci ignori scatta in noi la scossa del terrore ed è allora che gridiamo che venga presto in nostro aiuto.                 Quante volte Gesù ci mette alla prova per saggiare la nostra fedeltà! Quante volte fa finta di dormire per carpire la nostra attenzione e far sì che la nostra paura gridi talmente forte da rendere necessario il Suo destarsi! Dice Papa Francesco che    “Per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui, gridare a Lui” Non vogliamo qui rappresentare le molteplici promesse fatte dalla Beata Vergine Maria a chi devotamente reciterà il suo Santo Rosario, che è considerato il compendio al riconoscimento della vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo, ma la recita di tale genere di preghiera non fa altro che rafforzare l’interiorità spirituale dell’uomo che dirige la mente umana verso il soprannaturale, gioioso e festante. Come vediamo, ancora una volta si tratta di lavorare su noi stessi, sulla nostra coscienza, sulla nostra volontà che in totale costituiscono la piena conoscenza del proprio “io”, per cui riusciremo a correggere tanti errori comportamentali che prima non riuscivamo addirittura a notare e possiamo allora anche accorgerci dei difetti e dei vizi che nel corso degli anni hanno un po’ trasformato il nostro essere, modificando l’indirizzo intrapreso da bambino e stravolgendolo con le sollecitazioni e le tentazioni provenienti dal mondo esterno. In un certo qual modo procediamo ad una vera e propria presa di coscienza, una identificazione totalitaria di noi stessi in cui emergono lampanti i casi di viziosità, i casi di scarsa o mancata volontà ad affrontarli, la carenza di dedizione alla valutazione dei danni che provoca il mancato esercizio di una buona introspezione individuale. La preghiera, accompagnata da una buona lettura di testi relativi alla vita condotta da esempi di Santi e Beati possono aiutarci a comprendere ed a illuminarci, ponendoci in contatto con la nostra anima.                   Mistici e religiosi, santi e beati del calibro di Santa Teresa d’Avila, Sant’Agostino o San Francesco di Sales, ritenuto giustamente uno dei maggiori esponenti di spiritualità, potranno certamente arricchire il nostro bagaglio culturale religioso e rafforzare il livello della nostra Fede, ma anche in questo caso ci aiuterà maggiormente la partecipazione assidua ed attiva alla celebrazione della Santa Messa perché se la preghiera è il momento in cui ci si mette a confronto con Dio Padre, la Santa Messa è l’incontro vivo e vero con lo stesso Dio Padre che ci ascolta nelle preghiere e in quel caso viviamo realmente l’esistenza di chi ci ha creato. Quindi, da una fase di studio si passa direttamente ad un evento eccezionale in cui il nostro intimo si rigenera per la presenza del nostro onnipresente interlocutore.                                                                                               E se caso mai non riuscissimo da soli a iniziare questo nuovo processo di rivalutazione e di riconsiderazione di noi stessi, allora affidiamoci alla Chiesa, che è il più grande luogo di preghiera anzi, scuola di preghiera, che possa mai esistere!          Non a caso la vita parrocchiale è caratterizzata dai tempi, dalle modalità liturgiche e di preghiera. La vita si sviluppa secondo determinate programmazioni in cui l’uomo viene coinvolto per essere chiamato a farne parte: perciò quando avvertiamo il sentore che la vita parrocchiale per noi non è necessaria o vitale per ciò che abbiamo intenzione di realizzare, allora vuol dire che siamo entrati in crisi, ed il respiro della fede non ci ossigena più l’anima né tantomeno le intenzioni invocate anche da nostri parenti ed amici.           Ci dice Papa Francesco: “Tutto nella Chiesa nasce nella preghiera, e tutto cresce grazie alla preghiera. Quando il Nemico, il Maligno, vuole combattere la Chiesa, lo fa prima di tutto cercando di prosciugare le sue fonti, impedendole di pregare. Per esempio, lo vediamo in certi gruppi che si mettono d’accordo per portare avanti riforme ecclesiali, cambiamenti nella vita della Chiesa… Ci sono tutte le organizzazioni, ci sono i media che informano tutti… Ma la preghiera non si vede, non si prega. “Dobbiamo cambiare questo, dobbiamo prendere questa decisione che è un po’ forte…”. È interessante la proposta, è interessante, solo con la discussione, solo con i media, ma dov’è la preghiera? La preghiera è quella che apre la porta allo Spirito Santo, che è quello che ispira per andare avanti. I cambiamenti nella Chiesa senza preghiera non sono cambiamenti di Chiesa, sono cambiamenti di gruppo. E quando il Nemico – come ho detto – vuole combattere la Chiesa, lo fa prima di tutto cercando di prosciugare le sue fonti, impedendole di pregare, e inducendola a fare queste altre proposte.        Se cessa la preghiera, per un po’ sembra che tutto possa andare avanti come sempre – per inerzia – ma dopo poco tempo la Chiesa si accorge di essere diventata come un involucro vuoto, di aver smarrito l’asse portante, di non possedere più la sorgente del calore e dell’amore. Eppure nel vangelo scritto da Luca, quasi come a scommetterci su Gesù ci domanda «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Allora possiamo veramente affermare che se nel mondo ci sarà viva la luce della fede vorrà dire che la preghiera è ancora presente.

7 - COME PREGARE?

Abbiamo appurato dunque che la preghiera non è solo il mezzo con cui avvicinarci a Dio, o per metterci in contatto con Lui. Essa è anche lo strumento con cui proteggerci altresì dalle occasioni, molto frequenti, che si prestano a distrarci dal nostro obiettivo e porci una infinita serie di provocazioni, sollecitazioni al peccato, tentazioni che hanno il solo scopo di destabilizzare la nostra attenzione dal legame con Dio. La preghiera, abbiamo già visto, lega, rinsalda, ricostruisce il nostro rapporto con Dio. E la diretta conseguenza che si potrà notare nel corso del tempo è la presenza divina che si materializza in occasioni, interventi e dimostrazioni di pietà, carità e misericordia verso di noi In altre parole, le invocazioni che escono dalle nostre bocche e sono adeguatamente maturate nel nostro cuore, sprigionano la nostra appartenenza a Dio, annunciando l’entità della nostra fede e la risposta di Dio non si fa attendere, visto che il Suo perenne desiderio, fatto di solo Amore, è esclusivamente quello di farci accompagnare nella vita di tutti i giorni dal Suo Santo Spirito, che è il vero e unico salvatore della nostra anima. Esso scende non solo nei nostri cuori ma si cala altrettanto su tutta la nostra persona per proteggerci e far sì che ogni passo che avanziamo sia allineato per la strada che il Signore Dio ha costruito per ognuno di noi.       Egli interviene in ogni occasione di tentazione, di pericolo, di difficoltà, affinché noi stessi, che abbiamo dimostrato di aver avuto certezza nella fede e quindi pienamente fermi nella nostra convinzione di appartenere esclusivamente a Lui, riusciremo a oltrepassare ogni genere di momento critico. Effettivamente perdere questo immenso beneficio vuol dire perdere ogni certezza della propria vita, per cui dobbiamo fare in modo che questo connubio tra la nostra preghiera e lo Spirito Santo possa effettivamente funzionare. In realtà, grazie anche al nostro status di cristiani, solo avvicinandoci a Dio e avendo con Dio una reale interazione possiamo mantenere un rapporto normale con Lui e ottenere l’opera dello Spirito Santo che ci difenderà. In questa epoca, frenetica, esuberante e illusoria, impegni di vario genere e pessimi rapporti sociali ci prendono e occupano sempre di più tanto che la nostra mente ed il nostro cuore sono continuamente pressati e facilmente turbati dagli eventi e dalle cose del mondo esterno.                                                                                                                           Ciò non fa altro che pregiudicare il nostro vivere quotidiano e perciò ci impediscono di mantenere un rapporto normale con Dio. Se oggi non riusciamo a ritagliarci un pezzetto del nostro tempo da dedicare alle pratiche cristiane, domani avremo ancor meno tempo da dedicare a Dio, e così facendo ogni giorno perderemo non solo il contatto ma avremo la consapevolezza di esserci allontanati definitivamente Da Dio. Il sistema per restare nella nostra sfera di serenità sta nel pregare Dio con la testa e col cuore.    Ciò vuol dire che quando ci si rivolge a Lui le ansie e preoccupazione dovranno trovare spazi in altre parti perché dobbiamo impegnarci affinché tutta la nostra attenzione sia diretta solo e verso l’unico centro dei nostri interessi: il Signore Dio. E se queste occasioni di raccordo sono sempre più numerose, tanta più grazie si possono beneficiare. Sant’Ignazio di Loyola era teneramente devoto alla Madonna che non faceva nulla durante la giornata che non lo rimettesse sotto la protezione e la Sua guida, perché era consapevole che quelle cose che avrebbe fatto sarebbero state benedette dalla Vergine Maria a cui si era affidato ed era sempre certo di tutto ciò che già sapeva che non avrebbe mai avuto alcun problema perché accanto a lui vi era la presenza della Sua protettrice. Davanti alla continua tentazione satanica di sovvertire l'amore misericordioso che ci offre Cristo virgola ed allo scopo di reagire con assoluta abnegazione alle proposte ricevute, il Cristiano ha dalla sua parte un'arma micidiale con cui controbattere alle avance demoniache: donarsi a Dio nel modo più congeniale, prestargli ascolto, cioè mettersi in contatto amorevole con lui, restare nel suo cuore. Non è tanto difficile seguire questa strada, basta solo aver Fede, seguire con passione e tutto ciò che ci viene dato che fa riferimento alle regole che sono dettate dalla Chiesa. In realtà il cristiano inizia fin dalla sua più tenera età il suo cammino di Fede che, come suggerisce Papa Francesco, consisterà per tutta la vita nell'ascolto, nella prossimità fra i fratelli e nella testimonianza. Tutto ciò comporterà l'assunzione di un atteggiamento esclusivamente di devozione in cui prevarranno meditazione e riflessione su tutto ciò che ci accade, traendo da ogni circostanza l'aspetto più favorevolmente intimo ad accrescere l'interiorità del nostro rapporto con Dio. Riflettere Infatti sugli accadimenti giornalieri porta ad una continua predisposizione a verificare, considerare e trarre giudizi per il benessere della propria spiritualità.           Allorquando le nostre riflessioni ci rafforzeranno gli animi procurando serenità e gioia, allora saremo obbligati a non tenere tutto per noi ma ad esportarlo a favore di quanti ancora non hanno ricevuto la grazia di ravvedersi e comprendere le gioie che potrebbero scendere su di loro mediante l'azione dello Spirito Santo. L'azione del prestare attenzione a ciò che si riceve è molto espansivamente si elargisce agli altri produce la testimonianza della propria esperienza vissuta all'insegna della credenza in Dio, nel rispetto dei comandamenti e nell'obbedienza di farsi prossimità presso la comunità a cui rivolgere la propria attenzione.     Ma la Fede non è fatta solo di preghiera o disponibilità. Ci viene detto di invocare e rivolgerci continuamente a Dio Padre, cioè pregare sempre, perché la preghiera è il veicolo con cui i nostri pensieri raggiungono il centro delle nostre aspettative cioè il Signore, che attende, con pazienza e disponibilità, che gli pervengano le nostre sollecitazioni, per aiutarci a comprendere, riflettere ed agire. In questo modo adeguiamo il nostro essere al mondo nuovo di disporre le nostre attenzioni verso " altro" che non sia frutto di materialità o di puro egoismo.                                   Credere e vivere secondo i dettami cristiani porta l'essere umano a staccarsi dalle consuetudini che abitualmente attirano l'attenzione in cose puerili e senza contenuto. Ciò significa predisporsi per affinità più elevate che portano i nostri animi a livelli superiori, a cognizioni cui non tutti possono pervenire con facilità, se non condotti con una appropriato " sistema". A ciò infatti si arriva rinfoltendo le proprie sensibilità religiose con continue letture argomentali, con attenzione verso tematiche ecclesiali, mantenendo comunque presente che il cammino spirituale del cristiano: deve caratterizzarsi per la dedicazione senza misura di tempo alla meditazione cristiana. Solo chi ha aderito a questo genere di progetto sarà data la possibilità di beneficiare dei frutti dello Spirito Santo, che li avvantaggeranno sia nei momenti di gioia che nelle difficoltà in cui potranno trovarsi. Il Signore apprezza la preghiera quando questa sia inoltrata con coscienza e volontà ma, al contrario, detesta allorquando ci apprestiamo ad invocare il Suo nome senza alcuna vera intenzione spirituale: è come se lo si tradissimo!           Interloquire con Dio con la preghiera è porsi su un livello interiore elevatissimo, in cui le parti dialogano e si confrontano al solo scopo di produrre bene e gioia: si avverte in tal modo la presenza divina dello Spirito Santo che agisce e che rafforza il legame con la divinità. Non dimentichiamo, infatti, che “Iddio è spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Giov. 4:24) Quindi, facciamo attenzione quando preghiamo siamo sempre e continuamente sotto osservazione da parte di Dio, che intuisce sempre e subito se nelle nostre invocazioni siano insite la sincerità e la genuinità del nostro parlare, e che la presentazione delle nostre difficoltà sia reale e non mascherata da riserve mentali con le quali cerchiamo di “parlare bene ma razzolare male”                                                           Aprire il nostro cuore a Dio non ha nulla a che fare con le cose che Gli diciamo, né tantomeno con l’utilizzo di parole enfatiche e di linguaggi raffinati. Basta aprirGli il nostro cuore cercare la Sua guida e la Sua illuminazione, ed Egli ci ascolterà anche se pronunciamo solo qualche semplice parola. A Lui non occorrono grandi discorsi, parole enfatiche, perché prima che aprissimo la bocca già è a conoscenza di ciò che stiamo per pronunciare. In questo modo il Signore potrà valutare se siamo bisognosi di fede, di illuminazione, di protezione o quant’altro e noi riusciremo a comprendere se la nostra richiesta di aiuto sia stata sincera e pertanto meritevole di accoglimento. Si intuisce che la preghiera di per sé non deve restare una cosa isolata, nel senso che non deve servire solo a relazionarsi con Dio, perché essa è solo l’atto propedeutica all’azione: pregare, infatti, non dev’essere un momento di isolamento ma una presa di coscienza che impone al praticante di mettere in azione quelle idee, convinzioni e certezze che ha accumulato, comprendendo l’entità ed il contenuto del confronto col Signore. Quando nella vita incrociamo eventi o situazioni impegnative o invalicabili, spesso ci affidiamo alle nostre forze, nonostante fossimo consapevoli dell’enorme incapacità posseduta nell’affrontare simili avventure, e tralasciamo la considerazione di avere una grossa opportunità di risolvere il tutto ricorrendo alla forza onnipotente di Dio, alla nostra correlazione con Lui.                      Nella realtà sono davvero pochi i casi in cui cerchiamo la verità o che affrontiamo il problema secondo la Sua volontà ed allora ci abbandoniamo al cospetto di Dio. Perdiamo così le tante opportunità di praticare la verità e ci allontaniamo sempre di più da Dio: ancora una volta, quindi, il nostro “io” si sostituisce a Dio.                                            Dalla Parola comprendiamo come meditare su noi stessi è fondamentale per il nostro cammino nella vita! Solo attraverso la riflessione infatti possiamo renderci conto di poter ricevere tanti benefici e, per contro, far scaturire tanti difetti. Nasce in noi perciò lo stimolo a perseguire la verità, decidendo di tralasciare le cose terrene e di incamminarci verso il sentiero per noi tracciato dalla Parola di Dio. In questo modo, facciamo attenzione ad agire secondo le Sue prescrizioni nelle nostre esperienze concrete, pratichiamo la Sua Parola, e il nostro rapporto con Lui diventerà sempre più normale. Dovremmo pertanto dedicarci maggiormente alla riflessione quando conviviamo nella comunità, chiederci se ci siamo mai preoccupati di testimoniare la Parola e la Sua volontà oppure se col nostro atteggiamento siamo riusciti a condurre i nostri fratelli e sorelle al Suo cospetto oppure ancora se ci mostriamo in pubblico parlando con veemenza nelle discussioni tanto per metterci in mostra. Mediante un corretto svolgimento dell’esercizio dell’autoriflessione prendiamo atto e conoscenza che ci sono molti spazi in noi che ancora si ribellano, in virtù di un carattere influenzato sempre da forze esterne e che sono sempre alla ricerca della verità.   In tal caso per accompagnare i nostri fratelli della comunità secondo le modalità che ci sono dettate per fare la Sua volontà possiamo adagiarci agevolmente sull’umiltà che Dio mette a nostra disposizione. Se non riusciamo a stare al passo ed essere in grado di metterci sovente al cospetto di Dio, riflettere su noi stessi, esaminare e considerare obiettivamente le nostre aspirazioni, non riusciremo mai più a riconoscere le nostre debolezze e crederemo ancora invano di essere persone alla ricerca della verità. L’autoriflessione gioverà dunque al nostro progresso di vita e diventerà l’elemento chiave indispensabile per avvicinarci a Lui. Possiamo non solo riflettere sulle azioni eseguite da noi stessi ponendoci come centro vitale dell’attenzione la Parola di Dio, ma anche attraverso gli errori provocati da atteggiamenti tenuti da altri per avvantaggiarcene, focalizzando su di noi quell’aspetto negativo che li ha indotti allo sbaglio, ma stando attenti a non ricadere nello stesso errore, in altre parole sfruttare gli errori commessi dagli altri per ovviarli nella nostra vita.

8 - PUÒ LA FEDE INFLUENZARE LA VITA DELL’UOMO?

Un argomento che mi ha sempre visto indisposto è l’arroganza, mista a quell’aria di superficialità con cui tanti genitori rimettono il loro impegno di veri genitori e cristiani nel momento in cui stabiliscono che non devono interferire nelle scelte dei propri figli e di non dover essere in alcun modo impositori di un credo religioso ai propri figli che, secondo il loro avverso parere, dovranno in proprio effettuarne la scelta di aderenza o meno una volta raggiunti la maggiore età.                                                                                                  La loro tesi infatti è che la prole deve riconoscersi, in età matura, in grado di valutare le scelte da fare e quindi, responsabilmente utilizzare le proprie conoscenze e formazioni per decidere sulla propria appartenenza al popolo di Dio o meno o tanto meno di opzionare altre forme di aderenza a concezioni alternative a quelle praticate dalla massa in generale. Non solo, ma questo modo di ragionare diventa indirettamente un atto di accusa verso l’altra parte di genitori che, al contrario, e fedeli all’insegnamento ricevuto ed all’obbligo a cui almeno cristianamente si tende di rispondere, cercano di tutelare la fede nascente nei propri figli e di preservarla da futuri attacchi da parte di ingerenze esterne, come la moda, come la mentalità fuorviante di classi e concezioni strane e del tutto incompatibili con quanto ci è stato tramandato nel corso dei secoli. Potremmo identificare questo pensiero anche come una offesa nei confronti di chi, nel nome della libertà di espressione religiosa, tenta di ordinare la cultura dei propri consanguinei. Il loro modo di fare rappresenta l’abbandono totale di chi agisce alle indicazioni di Dio proprio all’esatto opposto. Ma va sottolineato anche l’aspetto psicologico e sociale di tale decisione, nella quale si ravvisa una forma di debacle con cui i genitori lasciano una loro fondamentale prerogativa all’incertezza ed alla incompetenza ed alla inesperienza dei figli. In questa circostanza, infatti, si investe lo sviluppo formativo della prole di un carico abnorme, non scevro di oneri e pesanti ripercussioni future.                           Non è ritenuto idoneo, per quanto ci riguarda, lasciare ai figli tanta responsabilità, visto che specie i più giovani, in particolar modo quelli più sensibili, non sentono di affrontare simili argomenti in mancanza di familiari adulti che possano guidarli o almeno ad indirizzarli verso obiettivi certi ed univoci che li condurranno sul giusto verso della loro vita.          Vi è inoltre da considerare che tale scelta pregiudica di molto l’andamento anche delle opzioni che sono lasciate ai giovani proprio in questi tempi difficili in cui ci si lamenta molto spesso di allontanamento dalla vita religiosa, adducendo colpe da imputare a chiesa, organizzazioni sociali e via dicendo, quasi come se l’accostamento educazione religiosa – figli non fosse un obbligo sancito già in sede matrimoniale, quando sono dettati e resi pubblici gli obblighi ed i doveri dei coniugi rispetto alla futura prole. Ci si dimentica forse troppo in fretta delle promesse fatte…. Comunque sia, l’argomento andrebbe affrontato nella sua globalità in quanto investe diversi fattori che trovano la loro fonte nelle Sacre Scritture e che si sviluppano fino ai giorni nostri. Primo di ogni dubbio vi è una domanda che, visto nei diversi punti di vista, occorrerebbe porsi per dare certezza al proprio cambiamento interiore ed allora cerchiamo di dare anche una risposta a chi si chiede come può la fede influenzare la vita dell’uomo e se ci può essere un diretto coinvolgimento della Fede nelle azioni dell’uomo.           Per quanto possa risultare difficile dare una risposta equa, occorre riflettere su come si consideri la Fede rispetto alla pratica religiosa dell’uomo, per cui se egli si presta ad eseguire meccanicamente le azioni che lo vedono coinvolto nella routine giornaliera, senza riflettere su come quelle stesse azioni potrebbero avere un andamento diverso se fatte con cognizione di causa, allora l’atteggiamento assunto non produrrà alcun beneficio, né tantomeno un auspicio per una probabile propria trasformazione caratteriale o interiore. Nel caso inverso, cioè se la vita dell’uomo è protesa verso l’affinità spirituale, per cui ogni gesto compiuto tende ad alleggerire il peso sopportato dall’intimo e dall’animo umano, allora possiamo finalmente affermare che la fede praticata, basata sull’applicazione nella vita concreta dei dettati della legge cristiana, rafforza il carattere personale, nonché la spiritualità individuale.   Non a caso meditazione e riflessione, che costituiscono gli strumenti indispensabili per affinare le qualità intellettive di ognuno, riescono a fornire il massimo supporto mediante la pace interiore e un motivato benessere emotivo.                    Basandoci sull’esperienza quotidiana, riportiamo con incisività il supporto della fede in tutto ciò che andiamo a fare, quasi come se ci fosse uno scudo e una protezione volte a tutelare le azioni del cristiano. In tutti gli ambiti considerati diciamo che è operante l’azione dello Spirito Santo che, opportunamente invocato nella preghiera, scende sopra e dentro il cristiano avvolgendolo di misericordia, amore e gioia. E se non è beneficio tutto ciò, come dovremmo definirlo? La fede così sviluppata è una simbiosi di speranza e ottimismo che aiuta nei momenti cruciali e che ci supporta nelle sfide quotidiane, mantenendo alto il valore del proprio coraggio. Ma poi vi è anche la considerazione che la Fede praticata dal singolo non è a sé stante, in quanto è anche appannaggio di tanti altri cristiani che, allo stesso modo, e con le stesse modalità, intervengono nello scenario collettivo perché accumunati da un unico e solidale ideale.        Allora ritorniamo ai meandri storici e rileggiamo cosa e quante volte la Bibbia ci riferisce a tal proposito:          

          "Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato" (Marco 11:24)

"La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare mossa e agitata dal vento" (Giacomo 1:6)

Cosa vuol dire tutto ciò? Che la Fede, essendo espressione vitale di una credenza nel Dio Creatore e dispensatore di Misericordia va praticata con totale affidamento a Lui, con estrema fiducia nella Sua benevola accoglienza delle nostre invocazioni, per le quali già si è certi che saranno accolte.

Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo “ (Corinzi 5:7)

Senza la Fede è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano” (Giacomo :1:6)

Gesù gli disse Se tu puoi, tutto è possibile a chi crede!” (Giovanni 11:40)

Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede “(Giovanni 11:25-26)        

          Il dubbio che si può insinuare dentro di noi, allora, non riflette un calo di credenza o di fiducia nel Dio Supremo, viceversa, diventa occasione di umiltà grazie alla quale si ritorna ad essere semplice e genuina. Pertanto, possiamo dichiarare che il dubbio non è un disgregatore di certezza, ma è altrettanto una storia che cammina con la fede per una strada comune.          Quindi, cosa potremmo rispondere all’interrogativo che ci siamo proposti all’inizio?           Possiamo dire che le fede è una esperienza unica e irripetibile, che coinvolge integralmente la persona, può modificarne il carattere forgiando la consapevolezza dell’uomo adattandola al significato che l’uomo stesso attribuisce alla propria esistenza. Potrebbe sorgere- lecitamente - il dubbio circa la fondatezza della fede e l’assoluta imprescindibilità da essa. D’altra parte, anche la Chiesa è stata, è e sarà una struttura portante della dottrina di Gesù ma, allo stesso tempo, sarà sempre anche uno strumento di riferimento che, nonostante le sue certezze, naviga continuamente in acque torbide che devono essere comunque trattate per renderle sicure e navigabili, cosa che riesce bene grazie all’intervento della Grazia e della Misericordia con cui lo Spirito Santo si cala su tutti, anche sui fedeli. Quindi, se è pur sempre zoppicante la Chiesa con tutti i suoi difetti riesce ad assistere il suo popolo e gli garantisce quella particolare attenzione che merita perciò, con tutto il suo bagaglio storico e le pregresse avventure trascorse rivela un lato che sarà sempre claudicante, così come anche gli Apostoli, all’esordire di Gesù sulla spiaggia, al primo incontro, obbedirono a seguirlo ma erano pieni di dubbi, incertezze ed interrogativi. Ma va ricordato che continuando, con perseveranza e fiducia, essi riuscirono anche a raggiungere quel livello di fidelizzazione che estromise in loro quella ritrosia che li allontanava da Gesù e man mano acquisirono la certezza di avere trovato realmente la strada giusta per il loro cammino.          Quindi, il dubbio non è un qualcosa di negativo, almeno se lo si considera come elemento spronante verso la ricerca del vero. E come ben sappiamo, Gesù – nonostante avesse già capito lo stato di diffidenza iniziale dei Suoi Apostoli – disse loro di andare a predicare. Gesù era pienamente consapevole di avere affidato una missione importante a degli inesperti, forse a degli incapaci, ma l’esecuzione di quel genere di lavoro li avrebbe arricchiti di una ricchezza interiore e della piena fiducia in quello che stavano svolgendo. Dal punto di visto cristiano, dovremmo riflettere sulla questione di obbligo impartito direttamente da Dio quando, sul monte Sinai, in occasione della Sua prima “parlata” ed alla presentazione al Suo popolo, oltre a definire il proprio nome allertò i fedeli ammonendoli con le parole                                                            “Ascolta Israele, io sono l’unico! E tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze e amerai il tuo prossimo come te stesso! «questo lo ripeterai ai tuoi figli quando sarai in casa, quando sarai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai! E quando arriverà il momento in cui tuo figlio ti chiederà: “qual è il significato di queste leggi, di questi comandamenti?”, tu gli dirai: “eravamo schiavi del faraone in terra d’Egitto e il Signore ci ha tirato fuori con mano potente. Davanti ai nostri occhi il Signore ha operato segni e prodigi contro il faraone e contro la sua casa. Ci ha tratto fuori per guidarci verso una terra che aveva giurato di dare ai nostri padri” Una imposizione chiara, netta, indiscutibile, necessaria a salvaguardare l’affidabilità e la credenza verso il Dio Creatore. Se ci riportiamo ai sistemi di educazione correnti, che esulano da un certo tipo di obbligatorietà, assistiamo alla caducità delle scelte postume, cioè a quelle che non si basano su certezze e fondamenta incrollabili come quelle poste dalla fede in Dio e le conseguenti cadute individuali verso baratri da cui difficilmente si potrà mai risalire. Vi è ormai una difficoltà ad affrontare la cosiddetta secolarizzazione dei valori cristiani, dovuta principalmente ad una mancata, carente o volutamente non disponibile educazione religiosa o, peggior ancora, educazione della fede. Eppure, se andiamo lontani nel tempo, fino ad arrivare agli albori del Cristianesimo, incontriamo la presenza di Dio che nell’incontro con gli uomini ha posto l’inizio della Storia, tanto da divenire il punto centrale della vita di ogni credente e di ogni evento che si realizzava. Quindi si tratta di un vero e proprio riferimento di garanzia che dà l’inizio al concetto di fede che diventa        “il riconoscimento di un rapporto esclusivo con questo Dio, che implica anche la consapevolezza di una propria funzione nel mondo, l’osservanza di una legge, la memoria di un passato, la trasmissione alle generazioni successive, un comportamento civile improntati ai valori si cui si è depositari”      

          Possiamo allora affermare che la fede d’Israele, così come concepita nel corso degli anni, è l’implementazione nella propria vita delle caratteristiche dettate da Dio e con le quali bisogna attraversare la storia umana. Agli albori del cristianesimo l’obbligo di educazione cui accennavamo all’inizio era una prerogativa diretta esclusivamente ai genitori ed in modo particolare al padre, considerato il reggente delle sorti della famiglia.         Tale attribuzione era molto sentita dal popolo fedele che proprio per la circostanza, nel caso in cui il genitore non ne fosse stato alla portata, era concesso di farsi coadiuvare dai precettori, cioè personaggi acculturati ed abilitati ad insegnare e principalmente ad educare i fanciulli alla materia religiosa e secondo i criteri previsti. Ma in tante occasioni, purtroppo, il genitore non solo non era in grado di fornire la dovuta attenzione alla cultura religiosa dei figli, ma non era dotato nemmeno di risorse economiche per poterne affidare il compito ai precettori.           Per eliminare questo momento di difficoltà si esaminò e si provvide ad istituire scuole di formazione che, poi, divennero vere e proprie istituzioni pubbliche. Ma la Chiesa, nel suo peregrinare attraverso i secoli ha dovuto provvedere all’aggiornamento non solo delle tematiche riguardanti la fede, ma anche le stesse organizzazioni referenti della trasmissione della formazione culturale e religiosa.                                                  In tal modo, sebbene sia costantemente scossa, abbia vissuto problematiche di diverso genere, in primis da lotte e divergenze fra gli stessi rappresentanti del Vaticano, l’intera struttura ecclesiale si regge sul conforto dato dalla Parola di Dio, dal Suo messaggio evangelico e, sull’azione evangelizzatrice mediante cui raggiungere ogni creatura di Dio. Questa attività, che investe l’intera comunità religiosa è pari a quella a cui dovrebbe sottintendere l’educazione impostata all’interno della famiglia di base. Questa tradizione è stata rispettata in diverse forme nelle famiglie cristiane lungo i secoli, tant’è che fin dall’inizio della comunità voluta da Dio, ad ogni domanda avanzata dai figli doveva corrispondere la risposta, da parte dei genitori, dal padre, o dal precettore o, infine, dalla stessa comunità, cioè non doveva verificarsi un vuoto a quella domanda. In questo modo si veniva a creare una sorta di primitiva catechesi che evidenziava già le prime responsabilità.

9 – LA CRISI DELLA FEDE

Per quanto persista e sia contrariata in tutte le sue forme espressive, la fede ha comunque vissuto e tuttora incontra sacche di resistenza alla sua realtà, che tendono a svuotarne il significato e cercano di infondere in chi ha posto la radice del proprio cuore il disagio di praticare un qualcosa che oramai ha perso il proprio significato e la sua missione. Così, a quel messaggio evangelizzatore che la fede espone, e relativo al riconoscimento del Regno di Dio già presente tra di noi, si tenta di sostituire l’alternativa imposta dalle nuove tendenze moderne che esulano da tutto ciò che è sacro e divino. Questa tendenza alla “secolarizzazione” che identifica il crollo di determinate forme di pensiero, di esautorazione della tradizionalità, e che vorrebbe dare per inciso il crollo anche del mondo cristiano, invece, è tenuto sotto continua e stretta osservazione dall’autorità ecclesiale, che ne monitora lo svilupparsi e le modalità della sua esecuzione, allo scopo di intervenire per modificarne la destinazione e per rendere nullo ogni tentativo di eversione concettuale. Non a caso, la catechesi è diventata così importante e basilare per affrontare questo allontanamento della società secolarizzata dalla Fede, una fede ricevuta in eredità ma non conquistata, una fede erosa dalle espressioni più innovative della new age o dal pressapochismo in vigore orami da decenni.                     Dobbiamo sottolineare come la religione non sia scomparsa o assente, così come lo si vuole far intendere dalla concezione comune corrente, anche se da tempo per tanti fedeli non è da considerarsi come punto di riferimento della propria cultura. Infatti, se nel finire del secolo scorso si cercava di porre le basi della società su valori cristiani, oggi si vuole fondare la convivenza sociale sui soli diritti umani, delegittimando in tal senso la formula della cristianità.                                                                   Molto spesso, e specialmente ciò che sta accadendo negli ultimi tempi, si assiste sempre più a formulare richieste di laicizzazione dell’assetto civile, intendendo per tale concetto la necessità di non violare il principio di laicità a favore di quello cristiano: segni e simboli cristiani che “devono” essere ad ogni buon modo sottratti dagli ambienti in cui si convive o sono partecipi rappresentanti di diverse etnie, religione o società: praticamente offrire in tal modo la possibilità a chiunque di allontanarsi ancor più dalla propria fede o, semmai, far trasformare il tutto in un falso principio di società multiforme, identificativo di variegate forme di razze, religioni, e concezioni diverse tra loro e non assolutamente integrabili perché autonome ed indipendenti. In un certo qual modo si è dato spazio ad una cultura secolarizzata in cui si riceve più beneficio rispetto a quella prettamente cristiana, vista più che altro come una imposizione globale del diritto di pensiero religioso che, proprio per questo motivo, per la morale odierna deve essere imprescindibilmente una vera e propria libertà religiosa.                                                                          La Chiesa cattolica, nel pieno rispetto delle attività istituzionali che deve costantemente programmare, definire, adottare e verificare, non può demandare tutto al contesto sociale in cui diverse strutture dovrebbero “gestire” la libertà di ogni individuo secondo il proprio credo. E’ per questo motivo che si è dotata di una propria struttura, una intelaiatura dalla consistenza teologica ed ecumenica, adattabile secondo i parametri che costantemente sono individuati per rilevare le nuove tendenze o innovazioni, ed è quindi necessaria per adeguarsi a tali nuove realtà.      In tanti osservano che all’epoca di Gesù non esisteva una Chiesa, non vi erano strutture del genere, non era programmata la necessità di affrontare il futuro o avversare le mentalità del tempo per cui oggi non si ravvede l’importanza di avere “qualcuno sopra di noi, che decida per noi e per il nostro modo di vivere”.           Ciò non corrisponde alla verità, perché se è vero che Dio è alla costante ricerca dell’uomo per aiutarlo, proteggerlo e condividere con lui la sua stessa vita, allora bisogna individuare il quel bisogno la necessità di fare ed essere Chiesa.                       In questo contesto nasce la libertà che Dio lascia all’uomo di gestire la propria vita ed il rispetto che Dio stesso ha per questo principio. Come avvertiamo, Dio non crea l’uomo per servirsene, ma per stargli accanto, per camminare insieme a lui, perché ce l’ha nel Suo infinito amore misericordioso: Dio, e quindi la Chiesa condivide le gioie ed i dolori dell’uomo, che comunque resta legato alla convivenza col resto del mondo.         La pastorale cui ci rimanda Dio è proprio questa, convivere e condividere nel mondo per cui la Chiesa non può essere il luogo adatto e votato alla chiusura, senza peraltro tendere essenzialmente ad inglobare la totalità degli uomini nel proprio seno, motivo per cui essa non è stata creata.           Diremmo che, quindi, coloro che si avviano per la strada della Fede non sono altro che dei globetrotters della Chiesa missionaria per le cui strade girovagano allo scopo di trovare esatta corrispondenza con i propri principi e per testimoniare la verità assunta per il tramite del Vangelo.                                                                                                              Oggi assistiamo sempre più alla ricerca della missionarietà della Chiesa, intesa nel modo in cui essa debba proporre il senso della vita adeguato ad un processo di cristianizzazione valido per la società moderna, e la risposta sta nella necessità di essere presenti nel mondo, così come dettato da Gesù, facendo tutto quello che Gesù stesso ci ha chiesto di fare. Dall’altra parte si chiede e si attende dalla Chiesa l’apertura ad una più fattiva partecipazione dei laici nella struttura portante e nella programmazione delle catechesi, allo scopo di superare quelle barriere che per secoli hanno ostacolato la rivitalizzazione del tessuto stesso della Chiesa, impedendo a giovani e donne di essere parte attiva, moderna e corroborante per una gestione più reale e connessa col mondo circostante.                                                                                         Diventa quindi una pietra di paragone per verificare se la Chiesa stessa è pronta per una nuova conversione alla Parola di Dio e per ascoltare il messaggio liberatorio del regno di Dio. In questo senso, fede e vita si separano in un doppio senso: la Chiesa è in ritardo rispetto alla fede e alla vita da molto tempo ed è per questo che il coraggio di una trasformazione è necessario nel contesto dei percorsi mondiali. Questo presuppone la capacità di lasciare il proselitismo per favorire il dialogo. La Chiesa sa di essere popolo di Dio, ma la domanda che ci suggerisce il dottor Paul Lakeland, professore di studi cattolici nonché fondatore e direttore del Centro per gli studi cattolici della Fairfield University, e che ci dobbiamo porre come cristiani è  ”mentre riflettiamo se la fede ha un futuro, chiediamoci: abbiamo fede nel futuro?”

 

 

10 - DAL CONCILIO VATICANO II IN POI

Dalle personali reminiscenze scolastiche affiorano ricordi di movimentazioni storiche che hanno caratterizzato gli ultimi decenni e che fanno risentire ancora oggi gli echi di quei rumori provocati nello sviluppo della cultura sociale hanno trovato poi alla fine piena dimostrazione con le rivolte fino ad arrivare agli anni di piombo che, di fatto, hanno inabissato tanti parametri e valori che con tanta meticolosità erano stati impartiti ai figli. Con l’avvento degli auspicati diritti vantati dalle nuove generazioni sono stati messi in discussione e poi stravolti tanti rapporti sociali, politici e religiosi fino a dover porre in essere rivalità e contrasti che, col perdurare delle difficoltà insormontabili di confronti, hanno dato adito a contrasti irrimediabilmente correggibili. Quindi, non solo opposizione alla cultura imposta dalla classe sociale, ma anche via dal concetto di appartenenza a Dio, dall’autorità ecclesiastica, dalla potestà genitoriale: stiamo parlando di modifiche strutturali che hanno colpito con maggior vigore l’interiorità della Chiesa. Inoltre, la concausa determinata dai fallimenti originati da ingenerose scelte politiche ed imprenditoriali degli anni del dopoguerra ha contribuito a rendere più complesso il sistema di adeguamento alla vita così come imposto dalla società, per cui anche la piccola chiesa domestica ha avuto la sua piccola rivoluzione, perché si è trovata costretta a seguire le modalità nuove per continuare ad appartenere al complesso mondo industriale che stava prendendo piede in tutto il mondo e quindi anche in Italia.        Infatti, la continua urbanizzazione delle aree, dapprima abbandonate e poi sottoposte al regime della speculazione edilizia, ha fatto sì che intere generazioni e giovani coppie abbiano dovuto abbandonare la propria località di nascita per approssimarsi nel mondo sconosciuto dell’accentramento cittadino costituito dalle nuove metropoli, dove il loro vivere stava per essere relegato in appartamenti che di tale avevano solo il termine, interi formicolai di famiglie assiepati in grandi condomini popolari dove portavano avanti la propria esistenza nel grigiore della città sconosciuta, di cui seguivano i ritmi imposti dal lavoro e dai nuovi impegni assunti.        In tutto questo anche la coppia è riuscita ad acquisire una certa libertà, una lieve forma di autonomia in cui è prevalsa una certa indipendenza dalla famiglia di base, dalla stessa comunità di appartenenza, per cui si è ritrovata ancor più debole ed incapace di affrontare le nuove sfide imposte dal mondo esterno. E’ questa la causa principale del forte incremento di fallimenti matrimoniali, di divorzi e convivenze che, purtroppo, persistevano senza legami di alcun genere.     Da ciò è conseguita la libertà che anche i figli pretendevano di avere ovvero più diritti e più autonomia rispetto a quanto finora avevano ricevuto in famiglia: ciò ha costituito l’anticamera alla disobbedienza, al rigetto di una certa educazione, alla ritrosità verso i valori che li avrebbero potuto aiutare per fronteggiare le innovazioni moderne proposte dalla nuova civiltà.        Quel momento storico aveva ormai i suoi protagonisti e metteva di fronte i giovani, che costituivano la parte esigente ed esuberante, con l’altra, composta dalla parte genitoriale, oramai stravolta dalla difficoltà a trovare una idonea politica di gestione della prole. In tutto ciò va compresa il discutibile quando inaffidabile insegnamento delle materie religiose, sia in capo alle istituzioni scolastiche quanto a quelle più propriamente domestiche, dettate proprio in capo al sacramento del matrimonio.                                                                       A ciò si aggiunga la liberalizzazione di temi e argomenti finora considerati tabù, quasi come si trattasse di informazioni nocive e che, dalla parte die giovani invece, venivano apertamente reclamate per adeguare la loro mentalità alla corrente culturale. In questo contesto i giovani replicavano a furore di popolo ed esplicitamente insegnamenti scolastici più appropriati per quei tempi, come la sessualità e la politica. Ci troviamo, quindi, davanti a una situazione difficile, in cui la realtà si incentrava sull’individuo, l’autorità dei genitori veniva meno e ogni volta di più si presentava per loro la fatica di educare i figli e trasmettere loro la fede. Era necessario, di conseguenza, un nuovo “metodo”, un ritorno alle origini. Di fronte a questi fatti, questa mentalità che attacca la famiglia, il Concilio Vaticano II ha voluto dare una risposta, anzitutto evidenziando l’importanza del matrimonio e della famiglia e, all’interno di essa, la funzione fondamentale dei genitori, responsabili dell’educazione della prole e, soprattutto, della trasmissione della fede. Il concetto predominante è che nella famiglia si acquisisce la titolarità di nuovi cittadini che, col battesimo, diventano Figli di Dio; è nella famiglia, prima “Chiesa Domestica” dove i genitori diventano automaticamente i primi soggetti responsabili della educazione religiosa. Nella famiglia i figli sono importanti perché costituiscono il frutto dell’amore coniugale e in osservanza al dovere educativo i genitori devono predisporre un apposito ambiente che corrisponda adeguatamente alla loro crescita specie spirituale, quindi devono essere attenti a creare quell’atmosfera domestica odorata dal profumo cristiano che possa inebriare la mente dei figli e condurli sulla strada della salvezza.    E manco a farlo apposta, uno dei mezzi con cui la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes consiglia di utilizzare per la formulazione di quell’ambiente domestico necessario è la preghiera in famiglia, che diventa il modo migliore per testimoniare la propria fede, il modo più esaltante per evidenziare come porre la propria vita nelle mani divine.  Fondamentale per l’educazione dei figli è “la consultazione reciproca ed una continua collaborazione tra i genitori”. Infatti, essi devono sforzarsi di dare ai propri figli una educazione che li aiuti a diventare adulti, maturi, capaci di rispondere efficacemente alle proprie esigenze, prendendo le proprie responsabilità secondo la loro vocazione, avvolgendo il rapporto figliare con un senso profondamente cristiano in modo che possano scorgere nella vita un indirizzo e quindi una missione rilasciata da Dio stesso. La Chiesa, che ha sempre avuto una particolare attenzione per i giovani, per questo insiste sull’importanza di educarli, per portarli ad una futura formazione religiosa e proprio in questo ambito essa richiede che si presti la massima attenzione visto che nel contesto della missione di che trattasi si scorge la difficoltà del messaggio comunicativo tra le parti. E’ in questo contesto che si rivela talvolta il fallimento della procedura educativa: tante volte si assiste al verificarsi dell’abbandono da parte dei figli delle tradizioni concettualmente religiose offerte dai genitori, facendo loro scorgere in questa occasione un momento di vera sconfitta, adducendo l’inefficacia degli sforzi compiuti o magari ritenendo non del tutto adeguati gli insegnamenti proposti.                                                                                                                                                      Ma per loro naturalmente c’è anche una parola di conforto, che li sgrava da responsabilità non proprie perché in definitiva se è vero che la fede deve essere rappresentata con l’esempio della propria vita e l’insegnamento prodotto non è altro che la prova dell’esistenza condotta in osservanza ai dettami cristiani, e se realmente essi hanno praticato con partecipazione appassionata e fedele la loro adesione alla missione salvifica allora non dovranno temere alcun aggravio di pesi, perché si sono comportati come effettivamente era stato loro richiesto.                                                      Non a caso si è soliti ripetere che la propria fede è accettazione del messaggio di Cristo nella propria vita come senso e ragione delle proprie esperienze e scelte e tale diventa prova testimoniale di vita che li realizza effettivamente e pienamente come genitori.     Per questo anche la famigliola, sempre intesa come piccola Chiesa domestica non deve essere bistrattata, non deve essere lasciata sola nel compito istituzionale, non va privata del contenuto essenziale riconosciutole direttamente da Dio ma va continuamente educata e confortata nell’erogazione del messaggio evangelizzatore: da qui nasce il suo dovere di educazione permanente nella fede.

11 - LA FEDE AL TEMPO D’ OGGI

 

   Cosa si riscontra oggi nel panorama globale in tema di Fede? In generale quale è l’atteggiamento che l’uomo assume quando gli si rivolgono domande sulla Fede?             Come sempre non possiamo fare meno di valutare il contesto sociale visto sotto altri punti di vista. Le mode e le tendenze che investono l’individuo costantemente per tutto l’arco della giornata influenzano senza dubbio le cognizioni e le concezioni che lo caratterizzano. In ogni parte del mondo si riscontrano casi in cui l’uomo, che originariamente era parte attiva e centrale di ogni movimento sociale, di ogni accadimento, di ogni evento, nel tempo è passato in subordine, divenendo l’elemento passivo del tutto, che subisce le pressioni delle modernità espresse dal mondo moderno, ed è per tale motivo che anche i suoi primitivi parametri, civili e religiosi, ricevono scossoni che strafalciano le precedenti credenze e formazioni.                                           La religiosità, la spiritualità o semplicemente la cognizione intima dell’uomo cambia e talvolta addirittura si modifica negativamente. E’ quanto accade ai giovani di oggi, per esempio, i quali sono sottoposti continuamente a variazioni di pensiero; ciò vale anche quando ci rivolgiamo a loro per chiedere come si pongono di fronte a temi più interessanti quale la religione o, più in particolare, la Fede personale.       Da una ricerca confluita poi nel volume “Piccoli atei crescono” veniamo a conoscenza che tanta parte dei giovani, almeno individualmente, riconosce la fede come un argomento serio, di non facile trattazione, che non può essere affrontato in maniera superficiale e che va analizzato approfonditamente partendo non da una base soggettiva ma, come si diceva precedentemente, iniziando a valutare come le pressioni esterne implichino una revisione concettuale personale su tale tema. Tale forma di discernimento include quindi le mode, le nuove conoscenze, anche tecnologiche, e perciò tutto ciò che a che fare con l’operatività del giovane nel consesso sociale.            Partendo da questo assunto si intravede una netta presa di posizione dei giovani, ma anche di tanti intellettuali che si prestano all’occorrenza a valutare le proprie posizioni in merito, visto che si dichiarano atei oppure agnostici, mentre altri si dichiarano culturalmente cristiani, nel senso che sono stati educati in un ambiente prettamente cristiano, e solo per questo risentono delle imposizioni ricevute nel corso della fanciullezza e della gioventù. Viceversa, una fetta di partecipanti all’inchiesta relativa all’individuazione delle problematiche che hanno portato i giovani ad allontanarsi dalla realtà religiosa, ha dichiarato di non essere cristiana ma di aver piacere nell’assistere a funzioni e riti religiosi.           Quindi ci si pone di fronte una larga parte della società giovanile che ben conosce l’argomento e, positivamente o negativamente, dibatte sul tema pervenendo ad una propria definizione. Nell’ambito delle conclusioni redatte dai ricercatori emerge chiaramente come la maggior parte dei giovani ritiene che la fede non sia adeguatamente vissuta perché sussiste l’evidente e negativo esempio prestato da autorità e livelli ecclesiali che, incastonati nel proprio ruolo istituzionale, con la propria attività dovrebbero dare esempio di come proclamare la propria fede.                    Tale riluttanza è molto evidente specie tra la parte più giovanile, laddove in particolare è stata evidente la carenza di insegnamenti da parte dei familiari che, perciò, sono divenuti la causa principale della mancata alimentazione di quei valori necessari ai figli.                                                                                                   Per questo motivo tali giovani si distaccano dalla chiesa e conseguentemente dalla religione, intesa come fattore impositore di una libertà che annulla del tutto la volontà del singolo nelle scelte di tipo religiose. Forse è per questo motivo che molti di costoro si rifugiano in discipline orientaleggianti in cui si presta maggiore attenzione alle proprie necessità e non a quello che viene dettato da terzi.   Valutando in questi termini i risultati degli accertamenti rilevati statisticamente dovremmo quindi pervenire ad una conclusione drammatica: oggi la fede non è argomento vitale per i giovani che la preferiscono a ben altre tematiche.       I dati sopra riportati però si antepongono a quelli più dettagliatamente rilevati da un’altra parte di ricercatori, quegli osservatori vaticani che, al contrario, registrano una larga partecipazione alle tante manifestazioni organizzate a livello globale, e che evidenziano una più consistente adesione alla manifestazione di fede che il giovane abbraccia.                               Risulta così evidente tale circostanza che i mass media rilevano costantemente, ed a volte anche in lunghe dirette televisive, l’entusiasmo e la voglia dei giovani di essere presenti in quegli eventi, talvolta anche faticosi e difficili da sopportare.              Questi giovani non hanno problemi e né tantomeno se ne fanno se devono affrontare particolari condizioni climatiche, logistiche o altro, purché vivano l’esperienza di fede che accresce la loro motivazione e li fortificano nel carattere e nell’atteggiamento interiore. Questo modo di vivere la fede viene considerato dagli altri solamente come una forma di liberazione dalle antiche concezioni, ma non considerano invece che quel modo di fare dei giovani è puramente idealizzato, è molto sentito, è profondo, per cui non è una semplice liberazione bensì un voler aderire ad un sistema di religiosità e di spiritualità che va ben oltre la normale quotidianità e che avvolge l’essere in toto, nella sua globalità di sentimenti e risorse.      Con il loro modo di fare questi giovani si sono rivestiti di un ruolo diverso da quello che antecedentemente toccava ai coetanei perché hanno intuito che nel proprio ambito familiare le cose purtroppo non girano più come una volta e che solo in un ambiente più particolare come quello della parrocchia potranno trovare giusta collocazione dei propri ideali e della propria fede.      In definitiva si scorge uno scostamento con le percentuali riportate nell’ambito di tali ricerche forse perché espletate in contesti campionari diversi ma una cosa è certa: nella società multiforme che ci ospita vi è la disponibilità di trovare forme di fede differenti, espressione delle variegate necessità in cui versano gli uomini, desiderosi di poter praticare una dottrina non più calata dall’alto, ma riservata ai propri mezzi ed alle proprie disponibilità. Sta solo ai praticanti, nel corso della propria esistenza valutare se vi sia stata corrispondenza tra quello che si cercava e ciò che è rimasto nel proprio intimo, cioè porsi la domanda personale siamo stati in grado di considerare appieno il nostro fine ultimo e l’aver saputo praticare totalmente la nostra spiritualità per realizzare gli obiettivi posti.

11 – REAGIRE CON FEDE

Giungere a definire il proprio pensiero religioso come non supportato dalla risorsa fondamentale che è la Fede vuol dire inerpicarsi in un groviglio di interrogativi che rispecchiano i tanti come, quando e perché, visto che tutto nasce in virtù di un sinallagma spirituale che confronta una persona, ricca di risorse interiori necessarie per ottimizzare la sua vita in vista di ricche prospettive di pace e felicità a Dio Padre, che elargisce tali ricchi doni interiori. Se domandassimo a chi si professa non più credente o almeno non più praticante, il perché di tale decadimento strutturale del proprio credo, otterremmo, quasi sicuramente una risposta che identifica un unico indirizzo che riflette lo scoraggiamento, la delusione o il probabile e discutibile abbandono di Dio ovvero di quell’Essere che lo ha abbandonato proprio quando egli iniziava ad avvertire i sintomi del bisogno. Tale atteggiamento viene fuori sicuramente a seguito di un determinato evento negativo che ha comportato sofferenza e dolore, tristezza o apparente impossibilità di reazione, una situazione in cui ci si è sentito inerte, inerme ed incapace di affrontare quella cosa che ha provocato una crepa nella propria anima e nel nostro stesso modo di pensare.   Eppure ci si affida tante volte al famoso invito “bussate e vi sarà aperto” oppure “ chiedete e vi sarà dato” quindi, come mai o perché si è pervenuto ad un dato di fatto per nulla soddisfacente? Per quanto possa essere difficile da comprendere, un credente deve necessariamente trovare la risposta in alcune riflessioni: affidarsi a Dio non è mai sbagliato, ed adesso scopriamo il perché. Premettiamo sempre che pregare o invocare non vuol dire rivolgersi a Dio per “pretendere” una data cosa o un favore che ci serve personalmente! Sappiamo che in genere una invocazione di questo genere è motivata forse dall’urgenza, dalla disperazione o da un qualcosa di critico che fa avanzare una simile richiesta: già in questa fase dovremmo considerare che se ci troviamo di fronte una persona che mostra evidenti i segni di un contrasto interiore, che lo sta conducendo ad una sconfitta quasi certa ed all’abbandono della sua fede, ogni credente dovrebbe sentirsi obbligato ad aiutarla, a sopportarne il peso, magari solidarizzando, facendosi partecipe, oppure partecipando anche se con la sola compagnia. Così facendo, oltre ad alleviare le forze utilizzate da tutti per la vicenda, si dimostrerebbe come la comunità si stringa intorno ad un suo partecipante per evidenziare come l’unità di intenti prevalga sulle questioni personali ed individuali. La persona interessata deve anche considerare ciò che i fatti evangelici ci hanno insegnato: abbiamo l’esempio evidente di cosa è accaduto a Gesù, l’opportunità fornita dalla Sua resurrezione, un evento prodigioso, meraviglioso, straordinario, tante volte preannunciato ma mai effettivamente e veramente compreso in quel periodo, che è accaduto dopo una tragica morte, avvenuta nel modo in cui tutti già sappiamo. Quindi, la persona colpita dal proprio dilemma interiore potrà volgere l’attenzione e l’attesa ad una sua possibile resurrezione vitale e sentimentale oppure lasciarsi scivolare nel dimenticatoio della storia, rendendo nulla la piena, incondizionata e sacra presenza di Dio nella sua vita. I sentimenti umani spesso trovano giustificazione nel concetto che le preghiere non servono a tanto, e poiché siamo tutti presi dalla nostra debole concezione umana che non considera di essere in contatto con il Divino, si passa a pensare che persista questa difficoltà di comprensione in quanto quando ci si rivolge a Dio Padre pare che ci ascolti poco o che sia distratto da altre cose, forse più impegnative o importanti. Il nostro pensiero si fa così fine che in tutto il suo iter dimentica di quella cosa più importante che è rappresentata dalla Fiducia espressa verso Dio e le Sue promesse.                   Quanti di noi, nelle moltissime volte che siamo stati interessati da questo “sentore” sono stati tentati dal non poter far niente perché presi dalla disperazione o perché si è trovato in una circostanza complicata e difficile? Eppure in quel caso ci siamo rivolti al Signore chiedendo pietà o misericordia: non abbiamo avuto niente in cambio, ci si aspettava qualcosa perché le Sue promesse sono da sempre molto giuste, quindi siamo dispiaciuti e delusi da Dio ed un Dio che promette e non mantiene e che delude non può essere considerato tale. Ma prima di asserire una simile sentenza dovremmo fare un passo alla volta e cercare di tracciare quel particolare rapporto che ha condotto verso la sfiducia: notiamo allora che c’è stata inizialmente una certa fiducia, poi si è creato quel rapporto di estrema e totale dedizione a Dio in virtù di una connessione stabile, duratura e certa; si è approfondito tale legame fino a capire che non ci sarebbe mai potuto essere qualche cosa che avesse minato tale binomio; poi all’improvviso è nata una certa necessità di aiuto, che viene inoltrata secondo quanto ci è stato insegnato e si è rimasto in attesa di cortese e gentile riscontro che, invece, non è pervenuto: ciò lo ha messo in difficoltà non solo perché non ha permesso di risolvere la questione ma oltremodo ha pregiudicato e reso del tutto illusorio la certezza di avere aiuto! Da parte del credente illuso parte istantaneamente e spontaneamente la “ritorsione”: non pregherà più e non andrà più in chiesa, non dedicherà più tempo a quel rapporto idilliaco finora tenuto e piuttosto si interesserà maggiormente a come tirare a campare, senza obblighi di nessun genere verso chiunque, e con la piena consapevolezza che mai nessuno lo aiuterà in futuro, come ha avuto modo di notare in questa sua esperienza sconfortante. Nel profondo del proprio essere possiamo riscontrare come tutto ciò possa dimostrarsi come uno spauracchio ideato non per vendicarsi di un torto ricevuto, bensì per rendere pubblico che per essere onesto verso sé stesso non farà finta di credere in un Dio nel quale non crede più.                                                     Ed allora cosa proporre a chi si è trovato, si trova o probabilmente si troverà in questa situazione? Innanzitutto, a tale soggetto dovrebbe essere attribuita una certezza, non proveniente da labbra umane ma direttamente da quelle di Cristo che afferma: “Andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando l’evangelo di Regno, sanando ogni malattia e ogni infermità tra il popolo" (Ebrei 13,8. Quindi, se noi crediamo nel Cristo che ha tanto bene ha operato ieri, perché non dobbiamo farlo anche oggi e domani?   Perché Gesù non dovrebbe fare le stesse guarigioni come ne ha fatto ai Suoi tempi oppure dobbiamo considerare errato chiedere la guarigione del corpo oltre che l’anima?  Credo e penso che a Dio possiamo chiedere ogni cosa, ma ciò non vuol dire che dobbiamo necessariamente ottenerla.                       Affidarsi a Dio non è mai sbagliato ma, come abbiamo già precisato, una cosa è chiedere, un’altra è pretendere. L’atteggiamento corretto da assumere, quindi, non è tanto quello che porta alla rivendicazione per non aver ottenuto soluzione al proprio bisogno, perché è vero che ci si può stancare di aspettare ancora, sempre, come è accaduto anche a qualche seguace di Gesù che stanco delle promesse ricevute preferì lasciarlo e di andare via dalla Sua compagnia.           L’unico vero e concreto consiglio che si potrebbe dare è quello di restare fermi ed assidui in questo genere di tentazione e sopportare anche stoicamente il peso di tale prova.           Ma abbiamo anche precisato che la fede, se da un lato può affievolirsi ed in seguito a “incidenti di percorso” lasciarsi andare, dall’altro lato può anche ritornare a fiammeggiare e perciò resuscitare nel cuore del credente.                                                                    Come Cristo muore e con Lui cessa la Fede degli Apostoli, con la Sua resurrezione ritorna la Fede in loro perché si realizza ciò che Lui stesso aveva loro proclamato: “al terzo giorno ritornerò”, per cui possiamo sottolineare come la Chiesa senza i suoi miracoli non si rivitalizzi. E, per ultimo, non dimentichiamo l’elemento più dannoso che è presente sul palcoscenico della vita: il “tentatore”, che in tutti i modi sobilla la nostra serenità, la nostra coscienza e la nostra fede che vuol dire per lui la più grande vittoria quando riesce ad estirparla dall’anima di un credente.                               Non è un caso che l’ultima richiesta inserita nella preghiera del Padre Nostro sia: «Liberaci dal Maligno», che equivale a dire «Liberaci dalla tentazione di non credere più in te. Per meglio comprendere lo stato in cui ci si perde e vanno a disperdersi anche quelle certezze e quei fondamenti su cui avevamo costruito la nostra vita, riporto l’esempio che ha avuto come protagonista proprio Papa Francesco.                                Nel primo caso egli è stato intervistato da una ragazza che gli ha chiesto, a bruciapelo, se nel corso della sua vita abbia avuto mai titubanza o calo di fede: con tutta la sua semplicità il Santo Padre le ha confessato che la sua fede qualche volta non è scomparsa però purtroppo si è ridotta perché in quei momenti in cui la cercava era talmente preso da impegni o faccende varie che non impiegava il giusto tempo per interessarsene, ma quando è arrivato il momento propizio per stabilizzare la propria posizione, allora ha ritrovato il tempo e le modalità con cui rafforzare la propria fede. E come è capitato a lui può verificarsi a tanti milioni di persone, che restano coinvolti momentaneamente in situazioni che destano necessaria attenzione a determinate cose e che possano dare adito a trascuratezza verso la fede.         Quando poi tutto sta per rientrare nella normalità allora diventa imprescindibile fare capo alla fede, a quelle attività in cui è fondamentale aderire per incrementare il proprio credo religioso. Quel ritorno alla fede rinsalda e cementa il vincolo che ha con l’uomo. E grazie a tale vincolo egli riceverà quei beni che Gesù ha sempre promesso. Così, il centurione che chiede a Gesù di salvargli il proprio schiavo da morte certa, la donna che sanguinante chiede come una mendicante al Signore di guarirla anche se non della stessa religione, oppure i tanti personaggi che si incontrano nel vangelo e che invocano al Signore di allungare la Sua mano miracolosa su di loro perché sanno che Lui può tutto: ognuno riceve la risposta alla propria richiesta e tutti restano miracolati.                   Nonostante siano pagani o non abbiano mai avuto a che fare con la religione la loro ferma credenza e la fiducia risposta in Gesù    toccano il cuore miracolante del Signore che si appresta a dare loro la salvezza dalle malattie e dalla morte.           La loro fede li salva.          E’ vero quindi che in certi momenti sembra che la fede resti nell’ombra ma è pur vero che nei momenti di necessità essa esca allo scoperto e ci conforti ricordandoci della nostra appartenenza a Cristo. Capita allora che tanti cristiani, specialmente molti cattolici si allontanino da Dio per variegati motivi ma principalmente perché hanno una falsa percezione della realtà.                                                                                      D’altra parte, anche i migliori di essi, senza la conferma e radicale convinzione della performance della preghiera, possono perdersi nell’intricato percorso in cui si addentrano. Si cresce nella Fede quando la preghiera costante e umile è presente nel credente. Il credente che entra nella superiore dimensione spirituale, si distacca dalle cose del mondo e non se ne occupa più o magari non concede più la stessa attenzione che aveva fornito in precedenza. Come è accaduto anche a San Francesco, che fino a venticinque anni si era dedicato ai sollazzi della vita ed all’allegria che condivideva coi suoi compagni di avventura fino a quando, prigioniero di guerra, gli capitò tra le mani un vangelo, che ebbe modo di leggere e meditare durante tutto il tempo della prigionia. Fu così che iniziò a scrollarsi di dosso la materialità che lo aveva castigato fino ad allora e ad avvicinarsi ed abbracciare l’amore per Cristo. La sua fede iniziò così a prendere piede ma si concretizzò quando scese veramente in campo, per dar vita al cambiamento della sua vita: iniziò a dedicarsi ai più derelitti, ai lebbrosi, ai quali dedicava la gran parte della sua giornata, noncurante dei pericoli per la sua salute: in un pochissimo lasso di tempo trasformò la sua vita da scapestrato a fulgido esempio di carità ed amore cristiano. Comportandosi in questo modo egli ha conseguito le caratteristiche principali del vero seguace di Gesù: l’importanza di pregare sempre, anche con la vita; come conseguenza della preghiera, la cura della propria Fede, la quale cresce se alimentata nei modi opportuni.          La connessione è netta e precisa: l’uomo non potrà mai aumentare la Fede senza ricorrere continuamente alla preghiera; visto che c’è un collegamento vincolante tra Fede e preghiera e, a maggior ragione, è indispensabile una preghiera devota, sincera, pura. La preghiera diventa una fonte inesauribile di virtù e di energia, favorisce la frequenza ai Sacramenti che si cercano con maggiore amore, interesse e devozione. È la preghiera a chiedere i doni dello Spirito Santo e a implorare aiuto e misericordia e Dio ci dona secondo quanto meritiamo: infatti Egli vuole ricolmarci di Grazie ma ci sono però le condizioni adeguate che dobbiamo avere noi. L’ultimo quesito che Egli ci pone è inquietante: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la Fede sulla terra?”. Che sta succedendo adesso e cosa succederà a moltissimi cattolici?       Nell’attesa    del ritorno finale di Cristo, è stato detto che tanti si allontaneranno dalla sana dottrina, dalla Fede autentica, perché seguiranno false dottrine e non avranno più desiderio di pregare. Non solamente gli idoli e i vizi li vinceranno, anche la loro Fede si spegnerà silenziosamente come una candela per la perdita della comunione con Gesù.      Non riusciranno più a venerare la Madonna e le loro preghiere saranno vuote, inutili. Arriveranno addirittura a non avvertire più il bisogno di pregare perché i loro cuori si saranno oramai induriti e ricoperti di angherie umane, opposte al Vangelo. Questa società che oggi orienta verso il soddisfacimento di ogni piacere umano, si antepone a quanto consiglia il Vangelo riguardo la necessità di rinunciare a orgoglio e superbia. Senza questo impegno spirituale, si finisce lentamente per spegnere la Fede, anche se molti credenti rimarranno illusi di fare tutto bene o di avere adempiuto ai propri doveri solo semplicemente perché essi hanno partecipato alla celebrazione della Santa Messa, alla recita di qualche sperduta preghiera oppure di essere stato presente in qualche manifestazione cattolica.

12 - IL RAPPORTO TRA FEDE E SALUTE

In questo paragrafo vogliamo un po' alleggerire l’argomento Fede, riportando una curiosità che in tanti non sanno ancora e che, alla fine, potrebbero comportare sicuramente degli effetti benefici nel proprio atteggiamento, nelle proprie attività, nei propri modi di comportarsi. Non si tratta di argomento scevro da difficoltà di analisi, né di tematica da poter affrontare con superficialità in quanto interessa studi e ricerche condotte al fine di stabilire se vi possa essere una connessione tra quanto stiamo esaminando e il proprio modo di vivere.       Ciò che segue è stato riportato o ripreso con rigorosi apprendimenti, considerazioni e prove sperimentali che hanno messo in correlazione fattori importanti.               Non vogliamo sintetizzare il tutto affermando che praticare la Fede si possano risanare malattie o malanni fisici ma certamente possiamo dichiarare - a seguito di verificati studi ed analisi – che l’esercizio della fede ovvero la pratica di tutte le espressioni religiose e spirituali possano giovare alla salute umana, arrecando un certo benessere o rasserenamento al corpo. Tutto parte dal concetto che mettersi in connessione col divino, connettersi con frequenze intellettuali particolari, salire a livelli di medita-zione che vanno al di sopra di quelli normali di apprendimento, comportano “aperture mentali” inaspettate, non facilmente adattabili con un modo di vivere connaturato alle esigenze contemporanee.           L’esperienza che nel corso del tempo ha accumunato casi inspiegabili di adattamento del corpo alla pia pratica della fede ha evidenziato e richiesto che sia effettivamente valutato e considerato necessario stabilire come questo possa influenzare il modo di vivere se trasformiamo il nostro corrente “modus vivendi” con un altrettanto “modus operandi” innovativo, basato su concetti cristiani.        Questo è il motivo per cui tantissimi studiosi si sono voluti dedicare a studiare e svolgere approfondite ricerche che possano determinare notevoli apporti benigni a livello salutare. La preghiera, in particolare, diventa una sorta di medicina che beneficia sia il corpo che lo spirito. In realtà la scienza ufficiale più volte ha dimostrato che la pratica religiosa rilascia effetti benevoli sullo stato di salute, originando meno esposizione alle malattie e procurando più guarigioni. Già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso un cardiologo americano, il Dr. Herbert Benson dell’Università di Harvard identificò nella preghiera un utile mezzo per produrre un’azione biochimica prodotta dal rilassamento che andava a ridurre pressione sanguigna, ritmo cardiaco e tensione muscolare.   Tutto ciò sempre a prescindere dalla concezione religiosa presa in considerazione.  Nel 1992 il Dr. Andrew Newberg, neuro scienziato americano, divenuto ben presto un punto di riferimento nello studio delle immagini cerebrali nel campo della medicina nucleare nonché Professore Aggiunto di Studi Religiosi e Professore Associato di Radiologia all'University of Pennsylvania School of Medicine , definito creatore della “Neuroteologia” tenne a battesimo un controverso esperimento   forte della convinzione che possano persistere possibili meccanismi neurofisiologici associati alle esperienze religiose e spirituali. Pertanto, sottopose a prove sperimentali diversi gruppi di religiosi appartenenti a fedi diverse, fra cui monaci tibetani e monaci francescani.                                                                                          La prova consisteva in una semplice ma considerevole pratica da seguire: tutti avrebbero dovuto tirare una cordicella non appena avessero avuto la sensazione di cadere in estasi o essere connessi con il loro senso del divino, originando in tal modo una risonanza magnetica funzionale del cervello, un esame che permette di identificare e mappare quelle aree cerebrali che si mettono in azione nel momento in cui pensiamo o facciamo qualcosa. Il risultato, poi confermato in più esperimenti successivi fu eclatante: in tutti i partecipanti era accaduto che quelle aree interessate si azionavano indipendentemente dalla fede religiosa praticata dai partecipanti.           Nell’esporre l’iter scientifico, la dimostrazione acclarata e gli sviluppi di tale studio, il Dr. Newberg, evidenziò come durante un’esperienza spirituale, costituita da una preghiera oppure una meditazione o anche la semplice partecipazione ad una celebrazione di un rito, il cervello pone in fuori uso gli stimoli sensoriali provenienti dall’esterno (luce, rumori ecc.) consentendo così di potersi concentrare senza difficoltà sulle proprie interiorità.         In tal modo, oltre ad incrementare l’impiego della corteccia celebrale si azionano direttamente ed in modo più che efficace altri punti di stimolo come il nucleo caudato, l’insula e il giro del cingolo, tre centri organici che sono implicati nella percezione della nostra unità con il tutto, oltre che importanti per memoria, apprendimento e innamoramento. Tale concetto fu obiettato da più parti innanzitutto perché dal punto di vista prettamente religioso, secondo alcuni studiosi non di parte, non è certificabile che uno stato meditativo possa essere semplicemente identificabile attraverso lastre o esami clinici, per cui i tanti fenomeni religiosi che si possono verificare nel mondo non possono essere estraibili a parte ed esaminabili autonomamente.       A ciò il Dr. Newberg rispose affermando che pur essendo accettabile tale critica, era tuttavia da prendere in considerazione anche un simile studio di immagini perché comunque erano da ritenersi strumenti validi per eseguire accertamenti di valutazione coì come da lui inteso, in quanto scienze e religione sono interconnesse; quindi, una simile esperienza di studio può costituire un valido aiuto per meglio comprendere di come l’uomo pensa e come si comporta all’interno di un dato contesto.     Facciamo attenzione perché nella prova eseguita dal Dr. Newberg, si è passati da una visione puramente spirituale ad una essenzialmente fisica, visto che l’attività della preghiera comporta l’attivazione della funzione parasimpatica, che causa una normalizzazione del ritmo cardiaco, della pressione arteriosa e riduzione del livello di stress. Sembrerebbe quasi che la presenza di Dio, da questo punto di vista, sia ancor più manifesta nel nostro cervello.                              a l’apporto benefico della preghiera non si fermerebbe qui. Infatti, uno degli effetti più sentiti con l’azione del pregare sarebbe la produzione della serotonina nel sangue, cioè di un trasmettitore che è definito responsabile nella regolazione di alcuni tipi di funzioni cerebrali che intervengono in caso di ansia, depressione, stress ma anche quando si va incontro a aterosclerosi o invecchiamento.       Simili studi, condotti da altri studiosi e centri di ricerca fra cui il Christian Medical Fellowship, hanno ulteriormente confermato quanto sopra riportato, dimostrando ulteriormente che i credenti ed i praticanti religiosi possono vivere diversi anni in più rispetto agli altri.        Ovviamente, va precisato che pregare non è praticare un rito magico ma comporta una forma di energia, un qualcosa di inspiegabile che prende forza dalla fede e quindi non va confusa con il normale rilassamento che si può rilevare durante esercizi in palestra, anche se gli effetti fisiologici possano in parte sovrapporsi.   Diverse tecniche di metabolizzazione della coscienza utilizzano delle parole o frasi da ripetere più volte, i cosiddetti mantra, per ottenere un determinato effetto. Uno dei più famosi è l’Om citato nell’arte dello yoga, e che è considerato il suono primordiale da cui ha avuto origine la Creazione, usato negli esercizi di meditazione profonda per mettersi in sintonia con la vibrazione originale dell’universo.          Altre religioni, invece utilizzano hanno giaculatorie da ripetere, nell’Islam come nel Buddismo.           Nel modello cristiano, cioè nell’ambito della religione cattolica è notoria la recita del Santo Rosario, anche se la preghiera essenziale del seguace della dottrina cristiana è il Padre Nostro, insegnato da Gesù ai Suoi Apostoli e considerato non solo preghiera fondamentale ma anche gloria, benedizione e adorazione.

Capitolo II

ATTI DI FEDE

CONVERSIONI

La conversione, nel contesto della nostra argomentazione riferita alla religione o anche alla spiritualità individuale, rappresenta un momento libero da interpretazioni sociali, politiche ecc. in cui l’individuo esprime la propria volontà di modificare il proprio credo, a seguito di una approfondita analisi, condotta nel corso della propria esistenza.      Si tratta di un qualcosa che nella storia della persona interessata ha scalfito molto profondamente il suo IO e che, meditando su taluni temi o atteggiamenti riscontrati difformi dalle proprie originarie convinzioni, decide di lasciare tutto ciò che era il sapere precedente per far posto ad una nuova realtà interiore, tra l’altro molto più semplicistica o realmente più chiara, che evidentemente riflette totalmente il suo essere e che gli procura giusta serenità.                                                                         Quindi andiamo a considerare una presa di coscienza puramente straordinaria, rivolta alla propria esistenza, una fase della propria vita in cui si è maturata una data idea, poi divenuta certezza, che un deciso cambiamento al proprio modo di vivere si rende necessario, imprescindibile e rivitalizzante per il proprio futuro.                     Se oggi consideriamo lo stato delle cose in cui versano gli strati sociali e religiosi dovremmo auspicarci una vera, sentita ed urgente conversione, specie nella Chiesa di Cristo dove tanti, forse troppi fedeli,  vivono senza sostanza la loro vita.                   Convertirsi vuol dire lasciare la via finora percorsa nello sbaglio, negli abbagli di una vita accomodante e falsa per votarsi a Dio, promettendosi di iniziare e incamminandosi effettivamente in un percorso fatto di verità inconfutabile e certezza nella fede. In altre parole ci si libera dal peccato per rivestire una nuova veste fatta di splendore cristiano, di apertura verso vita nuova ed in attesa che il premio finale soddisfi l’attesa e la scelta fatta.   Nella storia molto spesso si annotano di queste vicende, di persone, personaggi più o meno famosi, ma anche di gente comune che hanno incontrato Cristo, nella Sua Parola, nei Suoi seguaci, nei Suoi sacerdoti ma anche in determinate occasioni che hanno talmente interessato il proprio animo da rubargli l’attenzione e convincerlo a modificare il proprio modo di vivere.                                   Nel panorama storico dell’umanità si sono registrati e fortunatamente ancora oggi si registrano situazioni contradditorie e a volte contrastanti, che implicano capovolgimenti di interpretazione dei concetti cristiani, molto probabilmente a seguito di eventi o veri e propri crisi di coscienze che portano inequivocabilmente a discriminare i concetti finora abbracciati idealmente, per far posto a considerazioni del tutto nuove, che comportano una rivalutazione dei propri atteggiamenti di fronte a temi importanti per la propria vita, che danno adito al ripensamento delle proprie convinzioni e che finiscono per aderire alla conversione spirituale e quindi ad abbracciare il cattolicesimo. La storia è piena di casi del genere da persone comuni per finire a VIP o a personaggi storici che, a seguito di “ripensamenti” dovuti a esperienze del tutto personali hanno avuto la forza o il coraggio di rivedere le proprie convinzioni allo scopo di rimescolare il proprio sistema di idee e rinnovare il proprio bagaglio culturale per trasportarlo nella nuova visione cristiana.                                   Qui abbiamo riportati alcune fra la moltitudine di personaggi pubblici o storici che per un fattore scatenante nella loro vita hanno lasciato una fondamentale testimonianza che ha caratterizzato la propria esistenza, ovviamente in positivo.                       Sono stati scelti solo alcuni protagonisti di un certo rilievo, di spettacolo, di cultura e di storia che grazie alle loro approfondite meditazioni e riflessioni religiose grazie alle quali si sono destati dal loro sopore grigiastro che aveva colorato la loro vita ed hanno così potuto aderire alla nuova, ricca ed esauriente convinzione cristiana.

SAN PAOLO

 

San Paolo, ovvero Saulo di Tarso, è certamente il convertito più famoso della storia: da acerrimo nemico degli Ebrei, dei cristiani ed alla fine di Gesù stesso, egli diventerà il Suo più intraprendente Apostolo, il più audace fra tutti, forse anche il più promotore tra gli altri, definito l’Apostolo dei Gentili, cioè pagani in ascolto della Parola.          Quanti di noi hanno ascoltato il detto” folgorato sulla via di Damasco!                 Si tratta di un qualcosa che ha a che fare con un evento talmente prodigioso e potente da stravolgere la vita di chi è protagonista di tale evento, un qualcosa che irrompe nella vita e ne modifica tutta la struttura ed il conseguente futuro. Paolo cambia il proprio atteggiamento di cacciatore di uomini da uccidere in procacciatore di uomini da salvare e da consegnare alla Misericordia di Cristo Gesù.                             Nelle sue accorate conferenze che porta in giro per il mondo, l’attore Jim Caviezel, ricorda che San Paolo è l’uomo che cambiando una sola vocale nel proprio nome, Paulo, ha modificato il significato del proprio nome, Paolo, che vuol dire “uomo piccolo”, evidenziando così un cambiamento di rotta del percorso della sua vita, passando da soldato che con la forza eliminava i cristiani a umile soldato di Gesù che con la propria vita ha portato e diffuso la Parola di Cristo per il mondo, convertendo i popoli che l’accoglievano nella sua missione.         San Paolo era talmente feroce e proteso nella sua ferma convinzione di poter estirpare la fede dei neofiti cristiani che nulla riusciva a fermarlo, solo la croce infuocata lo bloccò mentre si trova sulla via che lo stava portando a Damasco con un incarico formale da parte del Sinedrio di Gerusalemme che lo autorizzava a perseguitare i cristiani di quella città, per imprigionare altri cristiani; una voce che tuona “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”  Lui rispose: “Chi sei o Signore?”; e la voce: “Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti 9, 3-7).                                                                    Così Paolo viene accecato dalla luce abbagliante che gli ha appannato gli occhi, impedendogli di vedere: riceve però rassicurazione da quella voce misteriosa che potrà ritornare a vedere la luce seguendo ciò che gli veniva detto e così dopo aver incontrato Anania, uomo timorato di Dio, e ricevuto il battesimo dalle sue mani, iniziò il suo percorso missionario, riscuotendo quel successo nelle sue predicazioni che riuscirono a riportare interi popoli in seno alla Chiesa.

SAN DISMA

Chi fu costui? Un perfetto sconosciuto divenuto in un attimo famosissimo e addirittura il primo ed unico caso nella storia della Chiesa ad essere proclamato santo senza alcuna istruttoria e senza aver praticato alcuna intercessione per ottenere miracoli.       Nella realtà si tratta di un uomo o meglio, fino ad allora un ladro o meglio un ladrone, uno dei due che hanno affiancato nella Crocefissione il Signore Gesù.           Il cosiddetto “ladrone buono” che, pur soffrendo per quella situazione tragica in cui si trovava, ebbe ad ammonire l’altro malfattore di non profferire più offesa a Gesù che, al loro contrario, era stato condannato ad una morte crudele senza aver commesso nessun reato o colpa.

Quindi, mentre il cattivo ladrone continuava a perseguitare Gesù prendendosi gioco della Sua divinità e della Sua impossibilità a salvarsi, Disma usò il suo ultimo fiato per difenderlo, sostenendo che Gesù stava soffrendo e patendo lo stesso loro trattamento pur essendo innocente e non avendo fatto nulla di male.                                                  Al termine di quella “ramanzina” Disma si era rivolto a Gesù chiedendogli di non dimenticarsi di lui quando sarebbe giunto nel Regno celestiale.     Fu in quell’istante, praticamente, che Disma ricevette l’imprimatur di perdonato e, nonostante avesse trascorso la propria vita incorrendo in continue traversie che lo avevano portato al carcere ed alla notorietà di ladrone, per aver riconosciuto la santità di Cristo poteva benissimo entrare a far parte del paradiso di Dio.

MANLIO CANCOGNI

 

Parlare di conversioni cattoliche è alquanto fastidioso per alcuni ed il motivo lo ha spiegato molto bene lo scrittore convertito, che considerava e riportava nel 2005 che la religione costituiva un insieme di ricordi, pensieri e emozioni contrastanti dai quali tutto era più confortante esserne lontano.      Poi, manco a farla apposta, quando la fede è diventata un argomento importante da trattare molti suoi conoscenti erano passati a miglior vita e con gli altri rimasti si era limitato sempre a non parlarne fino a quando è divenuto cattolico osservante, ed ha preso coscienza che nella realtà la fede si vive e si pratica quotidianamente perché essa non è un sentimento individuale e perché carente di un proprio corpo essa la ritrova fino ad immedesimarsi nella Chiesa. Solo dopo aver preso consapevolezza di questa considerazione, Cancogni aveva intravisto nella realtà italiana dell’epoca come vi fosse una cultura italiana prevalentemente non cattolica, anzi limitativa del credo cattolico a tal punto che persistesse addirittura una forma di “ghettizzazione del credente”.

Infatti, assistiamo ad una generalizzazione di forme alternative di fede ma definirsi cattolici è da scandalo. Affermava “non c’è odio antireligioso ma c’è molto fastidio, e lo sento».

         

BILL HAYDEN

 

Notissimo leader del Partito Laburista Australiano, Hayden è passato, ultraottantenne, alla conversione al cattolicesimo solo nel 2018 prima del suo decesso avvenuto agli inizi del 2023. Il motivo della sua conversione è stato reso noto dal suo confessore perché aveva assistito a tantissimi momenti di compassione espressi da conoscenti cattolici, tra cui una suora che lo aveva sempre fatto sentire presente nelle sue preghiere da cui sicuramente sarebbero state originate quelle attenzioni verso la sua fede fino a carpirne lo stato santifico di quella donna. Questo atteggiamento rivoltogli così da illustri sconosciuti e poi da questa donna che egli aveva continuava a considerare santa, gli rivoltò la concezione negazionista che perseverava nella sua mente per riportarlo al nocciolo della fede. L’età avanzata e la maturazione mentale cui era ormai proteso gli consentivano di poter guardare avanti per trovare il giusto significato della sua vita e di poterlo fare in modo integerrimo, senza riserve mentali, ostacoli ideologici o pregiudizievoli a tal punto che “Non poteva più negare la realtà di Dio” 

CATHERINE CHALIER

 

Catherine Chalier, filosofa e scrittrice francese, nel suo lavoro intitolato “Il desiderio di conversione. Rosenzweig, Bergson, Weil, Merton, Hillesum” espone storie di conversioni di alcuni eminenti personaggi di intellettuali dichiaratesi atei e, nell’enunciare le varie tipologie modalità di conversione, va a precisare alcuni concetti di base. Così, ad esempio, mentre per i filosofi greci la conversione che la ricerca della verità necessita una trasformazione della stessa persona, perché richiede “un ritorno dell’anima verso ciò che passa, appare e sparisce, sia internamente a sé stesso che intorno ad essa” , per altri popoli, come quelli ebrei o romani la conversione invece è la propria risposta alla chiamata e si espone annullando tutto quello che può danneggiare la nostra attenzione, precludendo quindi l’intervento a fattori esterni. Ci sono diversi modi per approcciarsi o avvicinarsi a Dio anche se la fase di partenza è sempre la stessa: profondi tormenti interiori, insoddisfazioni verso le soluzioni che propone il mondo esterno, inadeguatezza delle ideologie del momento, prive di fondamenta basate sulle certezze, ecc. Ciò evidenzia come sia solamente la stessa persona che si auto analizza a poter identificare le forze interiori, le cause e le possibili risposte alla ricerca posta in essere. Questo perché la persona di che trattasi riesce ad ascoltare il proprio intimo che gli propone il nuovo corso di orientamento da seguire.   Ed a seconda del tipo di conversione accettata, i nuovi neofiti si apprestano a non restare immobili in questa fase storica della propria vita ma, illuminati dalle nuove forze rigeneratrici, si intercalano nella mentalità esterna per poter rappresentare ad altri che si trovassero nella loro stessa condizione precedente e, semmai, dare il proprio contributo ad altri possibili

JOHN C. WRIGHT

E’ uno dei più famosi scrittori di romanzi di fantascienza nonché uno dei nuovi talenti di questo secolo. Da poco ha precisato di essersi convertito al cattolicesimo dopo che per anni non solo ha professato il proprio ateismo ma anche divulgato le priorità fino a quando gli è capitato di vivere una esperienza particolare. La sua precedente asserzione si basava sul fatto che il ragionamento umano non trova connessione con alcuna divinità e la vita umana stessa non dipende da nessun essere divino per cui gli esseri umani, senza l’aiuto di Dio non possono venire a conoscenza di Lui. Di questa teoria se ne era fatto promotore non solo fra gli amici ma anche in famiglia, esponendo le ragioni e tesi della sua logicità fino al punto di sollecitare i suoi amici e addirittura suo padre a lasciare il comune senso di appartenenza alla religione cristiana per aderire alle sue tesi anticlericali: tutti, purtroppo, si convinsero ed aderirono a quelle dichiarazioni. In definitiva l’uomo poteva sopravvivere alla necessità di avere un Dio al fianco per risolvere le proprie questioni e necessità. Questo fino a quando, aderendo ad una semplice richiesta di un amico antagonista, che gli aveva dichiarato che Dio risponde sempre alle invocazioni dei propri figli, siano o meno cristiani, cattolici o altro, si mosse per rivolgere una piccola preghiera a Dio Padre.    Pare che il “contatto” si fosse creato, in quanto a distanza di pochi giorni lo scrittore fu colpito da un duro e pericoloso infarto: sarà stata la paura di una subitanea morte o lo stesso evento straordinario a inculcargli l’idea di un momento della vita in cui egli non sarebbe stato in grado di poter provvedere a se stesso ma di dover ricorrere necessariamente ad altri o ad “altro”, seppur nella modalità di aiuto in fatto di energia o forza che gli procurasse quella spinta per poter riuscire a reagire, fatto sta che Wright ebbe l’opportunità di mettersi al confronto con il mistero e l’ignoto.         Una esperienza fuori del comune che lo riportò sulla strada del discernimento, un cammino fatto di verità inconfutabili che gli illuminarono il senso dell’intelletto, conducendolo a riflessioni che gli fecero esplorare concetti innovativi per la sua mentalità: furono queste nuove verità che lo porteranno alla conversione, dovuta alla concezione che la visione cristiana del mondo porta con sé un grande significato che la visione atea-agnostica non può dare.         Inoltre, anche riferendoci al suo punto di vista filosofico vi risulta una disanima più forte del cosmo e del posto occupato dall’uomo nel suo interno, cosa che purtroppo la visione ateistica non riesce ancora a dare.

JIM CAVIEZEL

Di Jim Caviezel forse si è parlato tanto a riguardo della sua carriera di attore ma non altrettanto circa la sua appassionata trasformazione interiore che lo ha portato in breve tempo a cambiare radicalmente le sue abitudini, le sue scelte, il suo stesso sistema di vita che ha adeguato in toto agli insegnamenti cristiani. Tutto è nato dalla partecipazione alla realizzazione del film “Passion ” in cui ha recitato nella parte di Gesù e proprio durante quella produzione cinematografica, come ha più volte lui stesso ribadito, lo spirito sacrificale che stava riportando sulla pellicola gli ha fatto capire la mole della sofferenza sofferta da Cristo, il Suo messaggio di salvezza, l’offerta di amore smisurato che ha elargito con il Suo martirio.         Grazie a questa interpretazione Jim riscosse notevole successo grazie al quale gli si aprirono le porte del mondo cinematografico, anche se in precedenza già aveva preso parte ad altrettanto film, anche di successo ma comunque svuotati di significato per la sua vita.                     Aveva già intrapreso una via di meditazione a seguito di viaggi turistici religiosi insieme alla sua famiglia ma solo riportando in scena la sofferta passione di Gesù si era talmente immedesimato nella sofferenza che gli capitarono alcuni imprevisti che lo hanno indirizzato ad ampliare la sua conoscenza verso Gesù e la Sua religione. Da allora si è allontanato sempre più dalle porte della notorietà per avviarsi con tutte le sue forze, verso la partecipazione attiva, meticolosa e appassionata di meeting, conferenze ed incontri spirituali e tutto quanto gli possa essere di aiuto nel poter testimoniare la propria fede. Durante tali incontri si può assistere con viva commozione ai suoi interventi in quanto parla accoratamente al pubblico presente e non si spreca nel sollecitare gli spettatori a cambiare la propria vita ed a donarsi per un ideale senza limiti e molto più ricco di contenuto. Nel riportare esempi di conversione abbastanza conosciuti, egli riesce a far comprendere come sia significativo anche per tutti gli uomini diventare grandi semplicemente seguendo le orme di Cristo, dal quale proverranno forze ed energie necessarie per abbattere qualsiasi remora, qualsiasi difficoltà o impedimento che possa nuocere al cambiamento che ci introduce nella nuova vita.

ALEC GUINNESS

Chi non conoscer Sir Alec Guinness? Notissimo protagonista di film e saghe cinematografiche del genere di Star Wars, Sir Alec Guinness è stato un grande interprete della pellicola in celluloide ed un seguitissimo attore che nel corso degli anni ha fatto prevalere la sua dota innata di attore cinematografico tanto da ricevere anche l’Oscar nel 1957. Sir Alec Guinness fin dalla sua ascesa alla notorietà aveva dichiarato la sua totale disappartenenza a qualsiasi forma di religione, in quanto praticava una forma di ateismo puro. Neanche la sua dichiarata omosessualità ha scalfito la sua popolarità ed il mito che lo hanno voluto sempre in scena e neppure quando orami famoso ed arcinoto ha mantenuto il proprio modo di vivere anche dopo l’avvenuta conversione, riconoscendo che anche se affetti da questa tendenza si necessiterebbe adeguarsi e seguire gli insegnamenti della chiesa visto che queste passioni, anche se non curate, dovrebbero essere controllate e considerate con la preghiera e la grazia di Dio.          La conversione che ha “colpito” Sir Alec Guinness si è verificata a seguito di un episodio successo durante le riprese di un film in cui egli interpretava un sacerdote, il famoso Padre Browm, figura di un sacerdote cattolico investigatore inventato da G.K. Chesterton.   Lui stesso ha riferito che stava camminando per la campagna francese, quando un bambino gli corse incontro. Gli prese la mano, e gli camminava accanto, e allegramente chiacchierava in francese. Alla fine della passeggiata lo salutò sempre allegramente in francese. L’attore rimase scosso dall’episodio perché si chiedeva come egli avesse potuto ispirare fiducia ma soprattutto gioia e serenità a quel fanciullo, solamente perché indossasse l’abito talare.   Ovviamente, non parlando francese non capì nulla di quello che il bambino gli aveva riferito ma continuava a domandarsi perché il bambino era così tranquillo mentre camminava con lui tenendolo per mano. Iniziò per lui una sorta di rivisitazione dei propri concetti religiosi ed uno più che mai importante era quello secondo cui la Chiesa aveva prodotto gioia e fiducia in quel bambino solo perché i suoi sacerdoti, per quanto ignoti, non potevano essere soggetti così intriganti come in genere li si descrive. Così iniziò a scrollarsi di dosso tutti quei pregiudizi che fino ad allora lo avevano distanziato dalle tuniche nere, nonostante vi fossero alcuni che, come in tutti i settori sociali, non meritavano nemmeno di essere presi in considerazione per le proprie disavventure. La conversione dell’attore non fu certamente immediata ma l’evento contribuì ad iniziarlo verso una scelta non ponderabile fino a quel momento. Un altro evento traumatizzò l’animo di Guinness quando suo figlio undicenne fu colpito dalla poliomielite che lo paralizzò dalla vita in giù a 11 anni.          Ebbene, tale figlio confessò al padre di voler ricevere il sacramento del battesimo e diventare quindi cattolico ma lui naturalmente era contrariato fino a quando, intervenendo in una chiesa locale si rivolse in preghiera a Dio affermando che se Dio stesso gli avesse guarito il figlio non si sarebbe più frapposto tra il figlio ed il battesimo richiesto.     Il caso volle che il figlio davvero si salvasse e ristabilisse per cui Guinness prima concesso il proprio assenso ma poi lui stesso iniziò a frequentare assiduamente la chiesa e si convertì al cattolicesimo poco prima della moglie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GARY COOPER

E’ doveroso per quanto mi riguarda e ne chiedo scusa a tutti ma permettetemi di dire che è stato il mio grande attore preferito e che i suoi film hanno grande parte della mia cultura cinematografica, dispiace il fatto che la sua scomparsa sia avvenuta proprio non in tarda età.    Infatti, il 13 maggio 1961 Gary Cooper lasciò all’età di 60 anni questo mondo nel pieno della sua produzione cinematografica proprio quando veniva riconosciuto a furor di popolo un grande dello scenario hollywoodiano ed eroe l’eroe per eccellenza del western.       Tra l’altro, oltre ad aver ricevuto ben cinque nominations agli Oscar ne riuscì a vincerne due ed ottenere anche un Oscar alla carriera. Al contrario della moglie e della figlia che erano osservanti religiose, Gary Cooper non era praticante cattolico ed anzi professava la sua completa non appartenenza al popolo di Dio al quale si convertì solo nel 1958 dopo una lunga pausa di riflessione e dopo aver avuto contatti con persone che lo accompagnavano nelle meditazioni personali. Gli procurò certamente sollievo morale e spirituale l’incontro con Papa Pio XII che gli diede una spinta in più per rientrare nello spirito cattolico.         Poi, dopo la lettura del libro del monaco Thomas Merton che descriveva i passaggi della sua conversione, finalmente nel 1959 decise di ricevere il Battesimo. Di lì a poco, nel giro di pochi mesi, i sintomi della malattia che lo affliggeva e che risultò essere poi un cancro divennero sempre più gravi da condurlo alla morte.   La sua conversione, al pari della sua morte provocò tanta eco nel mondo dello spettacolo e fu proprio Ernest Hemingway, grande amico di Cooper, a riferire di un colloquio con lui che, parlando della propria conversione, sul letto di morte gli aveva confessato di aver fatto una cosa giusta, e di questo Hemingway ne era sicuro perché gliene aveva parlato felicemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

MEL GIBSON

  

Oltre ai tantissimi attori che hanno interpretato Gesù ci sono anche diversi registi che hanno voluto dare una personale rivisitazione o una impronta del tutto particolare della storia di Gesù Cristo fatta non solo di miracoli ma anche di messaggi che riportavano alla serenità della vita, alla Parola divina, alla proposta di una vita diversa da quella finora praticata dalla moltitudine della gente.           Così è stato anche per Mel Gibson, famosissimo attore e regista australiano che con la progettazione e produzione del suo film di La Passione di Cristo (2004) ha dato prova della profondità della sua spiritualità: Gibson, infatti, oggi è un fedele seguace della dottrina cristiana, ma non è sempre stato così. Durante ed anche dopo i primi anni di successo Mel non nutriva grande simpatia per la religione e per la sua stessa spiritualità: il caso ha voluto che abbia potuto riavvicinarsi alla fede proprio quando ha iniziato a progettare il film sulla passione di Gesù, ritenuto da tanti critici un film molto controverso in cui egli ha voluto riportare in termini reali le vicende che hanno portato Gesù al sacrificio ed in modo talmente crudo da sfiorare l’irrealtà, nel senso che giustamente riflettendo ciò che ha subito il Cristo, almeno si possa ritenere che nessun altro essere umano abbia potuto sopportare allo stesso modo la flagellazione, il calvario e la crocifissione e proprio per questo modo di rappresentare il martirio di Gesù Mel Gibson ha ricevuto non solo plauso per il film ma anche una valanga di contestazioni specie dagli appartenenti alla religione ebraica ma egli ha fermamente respinto tali accuse asserendo che : non è una storia di ebrei contro cristiani perché Gesù, Maria e gli Apostoli erano tutti ebrei, ma è altresì vero che “Egli è venuto tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”.         In definitiva il film riporta alla speranza senza voler offendere nessuna religione o nessun credo.   Oggi Mel Gibson annuncia con estrema semplicità la propria fede ed è attivamente impegnato in opere sociali.

CONCLUSIONI

Questo testo non è da ritenersi assolutamente una pretesa per infondere ideologia o quantomeno trasmettere pensieri individuali in quelle persone che ancora oggi si trovano a dibattere sul profondo senso della propria vita. Per questo motivo riterrei più opportuno proporre questo contenuto a tutti coloro che riconoscono che il senso della propria vita è ancora appeso a un qualche cosa di irriconoscibile o non ancora identificabile e che continua a pesare sul proprio modo di vivere.

Pertanto, il contenuto di questo volume non è volto a specialisti ed esperti della materia ma vuole essere più che altro un supporto a chi vuole fare ancora chiarezza o che si trovano ancora nella difficoltà di dare un senso alla propria vita, a quanti provano ancora disagio nel riconoscersi all'interno della società in cui vivono e sono in netto contrasto con la mentalità dominante, riconoscendosi invece ricchi di altri valori che comunque nel corso del tempo sono stati abbandonati, esclusi deliberatamente per fare il posto a una esistenza molto più semplice da vivere ma colma di congetture globalizzati che rendono l'uomo una sorta di automa destinato solamente a trascorrere il tempo della propria vita senza mettersi in gioco e a dare veramente una giusta collocazione del proprio essere all'interno del momento storico e sociale in cui vive.   Dar luogo a una vera e propria esamina personale sul proprio modo di essere per verificare se ci si riconosce appartenente alla dottrina cristiana vuol dire procedere nell'unico indirizzo che porta alla identificazione della verità, connaturata agli insegnamenti della Chiesa che, per quanto continuamente invasa da opposizioni di qualsiasi genere, interne ed esterne, e sempre e costantemente contrapposta dalle ideologie del momento, riesce comunque a dare seguito agli insegnamenti di Cristo, considerando che tutto quanto è stato dettato in ilo tempore, nonostante le problematiche che l’hanno attanagliata da secoli di battaglie non è rimasto scevro dai dubbi e dalle perplessità che solamente una fede ossequiosa e limpida può utilmente surclassare, così come solo una fede forte riesce a dare risposte concrete agli interrogativi che ci si pone e che servono per crescere interiormente.         A ciò dobbiamo poi aggiungere e considerare che all'interno della società consumistica odierna nonostante vi sia un'elevata attenzione al consumo di beni materiali spesso ci si concentra sulle necessità e sui bisogni umani.                                                           Ecco quindi la necessità di avere Fede, di praticare la Fede, di vivere di Fede: solo con la Fede infatti si può trovare un significato più profondo della vita, si può cioè trovare una guida morale e spirituale.    Ma la Fede non è solamente questo, infatti essa può costituire anche il miglior modo per riconoscersi in seno a una comunità, ad un’appartenenza, e tutto ciò non può che essere positivo e comunque fondamentale anche per la stessa società che sembra tuttavia molto frammentata e isolata.                                     Papa Francesco ha più volte sottolineato che in un tipo di sistema consumistico come quello di cui stiamo parlando non c'è bisogno di cristiani impegnati in toto, bensì di utili testimoni che abbiano la passione di trasmettere il contenuto del Vangelo attraverso la vita. Abbiamo visto nel corso del testo cosa vuol dire aver Fede o decidere di avere una fede: è sempre comunque una decisione personale, che proviene da cognizioni e convinzioni individuali ma con tutto il rispetto che possiamo avere per le persone che decidono di tirare avanti nella propria vita senza volersi districare nei meandri della consapevolezza spirituale, possiamo affermare che la Fede è un valido supporto in tutto l'essere e per ogni genere di persona : questo concetto non può essere riportato solamente per la circostanza ma nasce proprio dalla convinzione che un esame approfondito del proprio essere mette in luce tanti aspetti nascosti della propria anima e che una volta riportati alla luce agevolano l'uomo nel comportamento con i suoi simili ma specialmente nell'atteggiamento verso il suo Creatore.





 

 

 

 

 

 

 

 




 

 

                                        







 

 

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