"GESU’ BUON PASTORE"
Don Francesco parla della Quarta Domenica di Pasqua
In questa quarta domenica di Pasqua, si interrompe la narrazione delle apparizioni del Risorto, e viene riproposto alla nostra riflessione un discorso, fatto da Gesù durante la festa giudaica della Dedicazione del Tempio, discorso nel quale il Maestro, usando il linguaggio delle parabole, si definisce vero pastore di quel gregge dei figli di Dio, che attendono la salvezza; c'è un solo pastore affidabile ed è Lui, il Figlio di Dio, che per il suo gregge, di lì a pochi giorni, darà la vita. Le immagini della parabola, sono quelle comuni alla cultura dei popoli orientali del tempo, per i quali la pastorizia era una delle risorse economiche prevalenti, tuttavia, sottolinea l'evangelista, il discorso di Gesù non fu compreso:" non capirono, recita il testo, che cosa significava ciò che diceva loro...". Non capivano, nonostante la familiarità con l'immagine del pastore, che la Scrittura riferisce anche Dio, come leggiamo, ad esempio, nel Salmo 22, che la liturgia oggi propone, salmo che è uno splendido inno all'Altissimo, il quale si piega con sollecitudine paterna sull'uomo, e lo guida, lo protegge lo nutre, lo introduce in quella situazione di vita, che conosce solo felicità, e che è la salvezza eterna; salmo che è, anche, una profezia della presenza salvifica di Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo. In un contesto di letture, come quelle di oggi, che sottolineano la costante presenza di Dio accanto all'uomo e in tutta la sua Storia, sia che parli della provvidenza del Padre, come della missione del Figlio, è bello, consolante e giusto, rileggere, con attenzione viva e con fede riconoscente tutto il Salmo 22, che così recita:, "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi il Signore mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Davanti a me tu prepari una mensa cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni." Non è, solo e principalmente, poesia, è, piuttosto, la rivelazione dell'amore di Dio che salva, e salva nel Figlio Gesù, il quale riprendendo l'antica l'immagine del pastore, si identifica con esso, per illuminare gli uomini, dando un contenuto sicuro alla necessità, che questi ha di fidarsi, così che la fiducia non sia riposta in chi potrebbe tradirla, né l'uomo affidi la sua vita a persone, che assomigliano molto a mercenari, o peggio, a ladri e assassini. L'immagine del pastore, oggi, non è più familiare, se non in particolari regioni o zone del mondo, in cui ancora si vive di pastorizia; ma non è difficile conoscere, o ricordare, le condizioni di vita dei pastori, i lunghi mesi di transumanza, una vita di solitudine, di disagi, condivisi, spesso, se così si può dire, solo con le pecore del gregge, che diventavano l'unica presenza viva. E' per questa ragione, che il Vangelo, con molto realismo, ci parla del pastore che, affettuosamente, ha messo un nome ad ogni pecora, tanto che le chiama per nome, ed esse, finiscono per riconoscere la voce del loro pastore, ed obbediscono ai suoi richiami:" le pecore ascoltano la sua voce, recita il testo, egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce..." E' un linguaggio simbolico, di un simbolismo non difficile da interpretare, anche ai nostri giorni; con esso, Cristo dice a tutti gli uomini, credenti e non, che lui si pone accanto a noi, per condividere la nostra vita, per guidarci, difenderci e farci crescere in dignità e libertà, senza defraudarci di nulla, anzi, dando per noi la sua stessa vita, e riaprendoci l'accesso al Padre. "Chi invece entra per la porta, ci dice il Vangelo, è il pastore delle pecore."; mentre, chi si introduce per altra via, con sotterfugi ed inganno, non è pastore, non è amico, ma è un malfattore, che ha, come unico scopo, quello di sfruttare e strumentalizzare il prossimo a proprio vantaggio; e di questi tali ne conosciamo ancora troppi. Ma c'è di più, c'è un'affermazione, veramente forte, che Gesù fa', in questa occasione, quando afferma di sé:" In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.." Siamo a Gerusalemme, la città in cui sorgeva il Tempio, segno della presenza viva dell'Altissimo; ora, una delle porte del Tempio, si chiamava, appunto, "Porta delle pecore", a questa porta del Tempio, sicuramente, si riferiva Gesù, mentre proclamava la parabola del pastore, Lui che aveva detto di sé:"Distruggete questo Tempio, e in tre giorni io lo riedificherò:" Cristo Gesù è, dunque pastore e tempio, il tempio nuovo, il tempio vero, il tempio vivo la porta che ci introduce nel Mistero stesso della vita di Dio.. In Gesù, Pastore e Tempio, si realizza la comunione col Padre e con lo Spirito, quella vita, che è lo scopo della sua missione sulla terra, ed è frutto della sua morte e resurrezione, e, riguardo a questa missione, Cristo stesso, dice:" io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza..". Un discorso difficile da comprendere prima del dono dello Spirito; ma ora, nella luce della Pasqua, esso acquista un senso pieno, e lo leggiamo in quel che Pietro scrive nella sua Lettera:" Carissimi, se, facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo, infatti, siete stati chiamati, poiché, anche Cristo, patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato, e non si trovò inganno sulla sua bocca, quando era oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati sul suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime." Nessun altro, all' infuori di Cristo, ha pagato il prezzo della nostra libertà e della nostra salvezza, è lui, dunque l'unico pastore, che possa dirsi “buono", l'unico che non ha fatto discriminazioni tra uomo e uomo, ma tutti, indistintamente, ha chiamato alla sua sequela, perché ogni uomo viva in pienezza di comunione: “Ed ho altre pecore, che non sono di quest' ovile, sono le parole del Maestro, anch'esse io devo guidare, e ascolteranno la mia voce, e saranno un solo gregge con un solo pastore. Per questo io do la mia vita..." (Gv. 10,16-17) Ora, questo cammino di comunione nell'unità, via lunga da percorrere, è affidato alla Chiesa, è affidato a noi, che crediamo nel Cristo, il Figlio di Dio morto e risorto per la salvezza di tutti, e, anche se siamo lontani dalla meta, tuttavia, come risorti con Cristo, nostro Pastore, possiamo affrettare i tempi, con la preghiera assidua, con la parola illuminata dalla fede, con la forza che viene dallo Spirito, e con una efficace testimonianza di vita.
(Don Francesco Catrame)
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